PIE DONNE, BENEFATTORI E GIOVINETTE IN PERICOLO

di PAOLO MEDEOSSI
Udine ha sempre coltivato una tradizione caritativa intensa, quasi proverbiale. In ogni tempo la benevolenza, la generosità e il buon cuore hanno trovato terreno fertile e la Chiesa è stata antesignana in queste forme di beneficenza. Tale almeno è l'impressione che si ricava a leggere certi resoconti su iniziative e istituti diffusisi in città. Lo stesso ospedale civile ebbe i suoi inizi nel XV secolo grazie al vistoso patrimonio della Confraternita di Santa Maria della Misericordia, di cui conserva il nome. Ma meritano di essere ricordati anche il Monte di Pietà (di cui oggi parliamo nella rubrica domenicale Genius loci), sorto nel 1496 su impulso del frate Domenico Ponzono con le offerte raccolte nelle processioni religiose, la Casa delle Zitelle, fondata nel 1582 per dar ricovero a giovinette sane, belle e (come si legge in certi racconti) «in pericolo di perdere la loro onestà», l'Istituto Micesio o Casa delle Convertite, fondato in via Rauscedo da padre Giovanni Micesio per ospitare «donne traviate in modo da guidarle al ravvedimento», la Casa delle Derelitte o Collegio della Provvidenza, creato dai padri filippini per mantenere ed educare «fanciulle povere, orfane e abbandonate», la Casa del Ricovero, istituita grazie ai fratelli Venerio e al vescovo Emanuele Lodi, l'Istituto Tomadini per orfani, fondato da monsignor Francesco Tomadini nel 1856, la società San Vincenzo de' Paoli, nata nel 1858, e l'Istituto Renati o Casa della Carità, fondato da Giuseppe Filippo Renati il 5 agosto 1761, e dunque fra poco saranno 250 anni. Un traguardo importante per la Fondazione che in via Tomadini ancora ne porta il nome e ne continua la missione, come abbiamo riferito ieri in un articolo dedicato alle novità proposte dall'ente presieduto dal professor Fabio Illusi.
Ma pochi forse sanno qualcosa di preciso sulla figura di questo benefattore rimasto nella storia udinese. Allora va detto in primo luogo che era di origini ebraiche e che nacque l'11 dicembre 1705 a Ontagnano da Salvatore Benedetto Pincarli ed Eva Morpurgo. Venne chiamato Davide e da ragazzo si esercitò nel commercio, ma a 26 anni decise di abbandonare il giudaismo, venne battezzato in duomo a Udine e, come si usava, cambiò il nome in quello di Giuseppe Filippo Renato o Renati, «che era quasi una promessa di spirito interamente innovato», come si legge sempre in un vecchio testo. Poco dopo, il giovanotto quale frate laico entrò nella congregazione dei padri dell'Oratorio e lì cominciò una nuova fase nella sua vita. Fra’ Renati era proprietario in Borgo Treppo di terreni confinanti con quelli delle maestre Rosarie, pie donne che agivano sotto la direzione della contessa Emilia Freschi. Misero insieme i propri beni e così crearono un edificio con due distinti reparti per orfani: uno maschile e uno femminile. Il Patriarca Dolfin, il doge, il luogotenente, la città tutta si mobilitarono per sostenere l'impresa che crebbe mentre il fondatore continuava a battere parrocchie e campagne per propagandare la sua opera. A dargli una mano accorsero altre donne, «illibate, aliene di vanità, sane, robuste, atte al lavoro, in età fra i 16 e i 30 anni, le quali, non legate da voto, ma spinte da carità, sapevano faticare a pro delle fanciulle orfane». E anche per la direzione degli orfani Renati volle un uomo di costumi intemerati, «celibe, esperto nelle arti, mosso da pietà». Ai ragazzi si insegnavano orazioni, dottrina cristiana, lavori per farli diventare buoni, istruiti, utili, operosi. Gli orfani erano accolti fra i 5 e i 10 anni e dopo 5 di istruzione passavano al rango di operai affinchè lavorassero altri 5 a vantaggio della pia casa. Quindi uscivano a circa 18 e le ragazze spesso venivano maritate assicurando loro una dote.
Tutto questo andò avanti fino al 1767 quando Renati, morendo, lasciò la sua creatura alla città con la raccomandazione che maestri e fanciulli non rimassero mai in ozio. E si può dire, 250 anni dopo, ora che il Renati è da decenni un moderno convitto, che la promessa sia stata mantenuta.
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