Pertosse, neonato ricoverato: è grave

TOLMEZZO. Un neonato di due mesi è stato ricoverato all’ospedale di Tolmezzo, venerdì scorso in gravi condizioni. Quando i genitori lo hanno accompagnato al pronto soccorso presentava evidenti sintomi di pertosse.
Il neonato, messo in isolamento e sottoposto a una terapia antibiotica, ce la farà, ma è allarme nell’Azienda per l’assistenza sanitaria 3. I medici di famiglia e i pediatri della zona sono stati allertati per ricercare e trattare eventuali altri soggetti colpiti.
Nello stesso ospedale, a causa di una precedente epidemia di pertosse, un bambino di pochi mesi è morto sei anni fa. E un’altra morte precocissima si è registrata in Friuli Venezia Giulia nel 2014.
La recrudescenza di una delle tante “malattie dimenticate”, in quanto debellate da un trentennio, ovvero da quando è stato introdotto il vaccino, ha effetti tangibili e ricomincia a mietere vittime specie nella popolazione infantile.
Se, infatti, nel corso dei decenni si è registrata una progressiva riduzione del numero dei casi grazie all’incremento delle coperture vaccinali, tuttavia, negli ultimi anni si sta assistendo a un’inversione di tendenza: 1 caso nel 2006 con la copertura del 96,2%, 14 casi nel 2015 con una copertura vaccinale del 90,2%, 10 casi in soli cinque mesi nel 2016 e i tassi di copertura continuano a scendere.

Nel periodo 2000-2016 sono stati segnalati 193 casi di pertosse in regione: valutando lo stato vaccinale rispetto alla fascia di età dei casi, la maggior parte dei non vaccinati aveva un’età inferiore a un anno (non avevano ancora iniziato o completato il ciclo primario di vaccinazione), mentre i casi su soggetti vaccinati riguardavano bimbi da 1 a 14 anni (presumibilmente o non avevano completato il ciclo primario o avevano preso la loro immunità).
Fra il 1996 e il 2016 i contagi in soggetti con età compresa tra 0 e 12 mesi sono stati 50 con una tendenza all’aumento fra 2006 e 2016. L’indagine epidemiologica effettuata dai sanitari dell’Aas3 nell’ultimo caso registrato all’ospedale di Tolmezzo ha documentato la malattia anche nella madre e nel fratello più grande, che non era stato mai vaccinato.
«Quando è arrivato in ospedale, il piccolo aveva una forte tosse – spiega il direttore della pediatria Bruno Sacher – lo abbiamo ricoverato in isolamento e abbiamo avviato subito una terapia antibiotica grazie alla quale sta migliorando. Purtroppo – constata – ogni anno registriamo uno o due o due ricoveri di bambini con la pertosse» ammette il dottor Sacher.
«La pertosse – spiega il direttore generale dell’Aas3, Pier Paolo Benetollo – è una malattia non sempre conosciuta, specie dai più giovani. È molto contagiosa, tanto che un ammalato, anche durante la fase di incubazione, può infettare con i colpi di tosse oltre venti soggetti che non hanno sviluppato anticorpi. L’infezione naturale, inoltre, stimola anticorpi che non sono duraturi e quindi proteggono da una nuova malattia al massimo per 10 anni».
In altre parole ci si può riammalare di pertosse “da grandi” e, in qualche caso, con sintomi poco evidenti, per cui una persona adulta con una tosse in apparenza banale può essere in realtà affetta dalla pertosse e infettare per alcune settimane altri soggetti.
Nel caso di un neonato, l’infezione può essere trasmessa dagli stessi genitori, fratelli, altri familiari o da altre persone che entrano in contatto con lui e che non sono state vaccinate. Ecco perché alle future mamme e a chi vive a contatto con un neonato viene raccomandata la vaccinazione di richiamo contro la pertosse, se non ne ha fatta una negli ultimi dieci anni.
«Il vaccino oggi utilizzato, contiene proteine del bacillo della pertosse ottenute con tecniche di ingegneria genetica ed è stato creato per dare una protezione simile a quella fornita dall’immunità naturale, con effetti indesiderati ridotti al minimo – spiega la direzione dell’Aas3 –. Questo vaccino viene offerto gratuitamente, ma purtroppo nei comuni della Carnia, e non solo, ci sono alcune famiglie che rifiutano le vaccinazioni». Nel caso della pertosse la copertura vaccinale è di gran lunga inferiore alla soglia minima del 90% raccomandata dall’Oms.
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