Morto sul lavoro, la Carnia si ferma per l’addio a Paolo Straulino: «Grazie per l’amore che ci hai donato»
Presenti i sindaci delle comunità coinvolte: Sutrio, Ovaro e Forni Avoltri. Nel ritratto dei colleghi, l’immagine di un uomo affabile e appassionato

Un paese intero, in segno di lutto, si è fermato martedì 13 maggio per dare l’ultimo saluto a uno dei suoi figli, il cinquantenne Paolo Straulino, travolto tragicamente il 3 maggio scorso alla cartiera Reno De Medici di Ovaro da un imballaggio di carta da macero di 12 quintali caduto da una pala meccanica condotta da un collega. Il pomeriggio delle esequie di Paolo, Sutrio ha le vie svuotate e immobili, accecanti nel sole già estivo.

Bar e botteghe sono chiusi. Inerpicandosi fino al sagrato della chiesa di Sant’Ulderico, il paese è tutto lì, gli amici di una vita, i colleghi di lavoro. Sono tantissimi e in un compostissimo e addolorato silenzio accolgono Paolo tra due ali di folla. Sopra il feretro è adagiato un delicatissimo cuscino di rose bianche e ortensie celesti, con qualche sprazzo di blu zaffiro con un messaggio, che dice tutto, della sua grande e adorata famiglia: «Grazie per l’amore che ci hai donato».
Tre sindaci, Manlio Mattia, Lino Not e Fulvio Sluga con la fascia tricolore sono in prima fila, a lato dei fratelli Mario, Gianna e Roberto. A simboleggiare il profondo scoramento di tre comunità, quelle di Sutrio (paese di Paolo), Ovaro (dove è avvenuto l’infortunio fatale) e Forni Avoltri (paese di Giulio Migotti, il collega che il 3 maggio conduceva la pala meccanica).

Presenti anche dirigenti della cartiera di Ovaro e il consigliere regionale Manuele Ferrari. Il parroco, don Harry Della Pietra, racconta Paolo: il primo lavoro proprio di fronte a casa, alla Sams, poi con la ditta di Guido Piazza e poi in cartiera a Ovaro.
Da giovane uomo di sport, l’amore per la corsa, soprattutto mezzofondo, al punto che diviene campione regionale dei 3.000 metri e partecipa pure ai campionati italiani. Adorava raccogliere funghi, Paolo, e all’interno della sua famiglia spiccava per disponibilità e servizio.

I colleghi ne tratteggiano professionalità, puntualità, passione per il suo lavoro. Difficile, assicurano, trovare qualcuno che andasse d’accordo con tutti come Paolo. «Quando viviamo questi drammi – ha detto Don Harry– il desiderio e la tentazione è quella di stare zitti. Quando l’uomo vive delle esperienze molto intense e difficili, è il silenzio che esprime meglio quello che viviamo, ogni parola appare insufficiente. Però stare zitti in questo momento sarebbe tradire Paolo, i parenti, tutti voi, la mia vocazione verso il Signore, perché un cristiano anche in questi frangenti ha una parola, che è Gesù Cristo, il risorto: è lui che può dare senso e consolazione in questo momento».

Don Harry ha ricordato in questo senso le parole di Papa Paolo VI e di Papa Leone XIV e poi ha aggiunto: «In questo momento di dolore anch’io non posso che ripetere e dare l’unica grande ricchezza che ho. Noi siamo ambasciatori di Cristo. Trovare Gesù è facile perché è lui che ci cerca e solo lui può dare un senso compiuto alla nostra esistenza, anche in questa ora drammatica, perché ci dà quei doni che nessun altro può darci: la speranza della vita eterna, unica consolazione di fronte al lutto, la speranza di rivedere Paolo; ci rivela il senso profondo dell’esistenza nell’amore; solo Gesù ci libera, poi, dall’ansia; infine, l’ultimo regalo che ci fa è il perdono, sempre».
Don Harry ha rivolto poi un ultimo pensiero al collega di Paolo che guidava il mezzo da cui è caduta la balla di carta da macero che lo ha travolto. «Questa mattina – ha affermato il parroco – mi ha chiamato e mi ha detto “ricordati di lui”. Bella persona, dobbiamo abbracciarlo in un abbraccio corale profumato di affetto, di solidarietà, di vicinanza e di comprensione. Nessuno di noi vorrebbe essere al suo posto. La vicinanza sicuramente aiuta a superare i momenti difficili».
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