Omicidio di Tatiana Tulissi, ecco tutte le bugie di Calligaris condannato a 16 anni

Tutti i dubbi della Procura sulla versione dell’imprenditore. Nessun riscontro al massaggio cardiaco che disse di avere praticato alla vittima
Udine 9 Luglio 2019. Processo Calligaris. © Foto Petrussi
Udine 9 Luglio 2019. Processo Calligaris. © Foto Petrussi

Ciò che Paolo Calligaris ha detto di avere visto e di avere fatto subito dopo il ritrovamento del corpo senza vita della compagna Tatiana Tulissi, la sera dell’11 novembre 2008, sull’uscio della villa di Manzano in cui vivevano, non corrisponde alla scena del crimine che gli inquirenti hanno ricostruito sulla scorta della gigantesca attività tecnica condotta nella seconda tranche di indagini.

E cioè da quando, nel 2016, l’imprenditore fu nuovamente iscritto sul registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario. «Bugie», quindi, a fondamento di uno dei pilastri dell’inchiesta ripartita proprio da quella concatenazione di incongruenze e culminata, l’altro giorno, nella sentenza di condanna a 16 anni di reclusione.

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Udine 9 Luglio 2019. Processo Calligaris. © Foto Petrussi


Remake del crimine. Era stato l’ex comandante dei carabinieri del Ris, Luciano Garofano, incaricato della consulenza dal pm Marco Panzeri, ad accompagnare gli investigatori in una sorta di salto all’indietro nel tempo, “clonando” il cortile su un enorme foglio di carta, riproducendo le macchie di sangue a suo tempo repertate e simulando l’arrivo della jeep di Calligaris con una copia identica presa in prestito dalla Protezione civile. Confrontata con il “remake” del delitto, esaminato anche attraverso l’occhio di un drone, la versione di Calligaris cominciava a fare acqua.

La traccia ematica trovata su uno degli pneumatici, per esempio, non poteva più ritenersi assorbita «a seguito dell’azione meccanica di rotolamento”, come ha continuato a sostenere a processo la difesa, bensì per il «gocciolamento causato dalla perforazione della pelle da parte di un proiettile». A riprova che il veicolo non arrivò a omicidio compiuto.

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Venti minuti da solo. Il punto, insomma, era dimostrare che l’imprenditore si trovava già in villa quando Tatiana fu uccisa. La teste chiave, una vicina, afferma di avere sentito gli spari alle 18.31 e altri testimoni, gente del paese, di avere visto la jeep sfrecciare verso casa prima di quell’ora. E visto che fu lo stesso Calligaris, alle 18.32 e 57 secondi, a chiamare il 118, chi altri – secondo la ricostruzione accusatoria – poteva avere premuto il grilletto del revolver calibro 38 e, poi, essersene liberato in tutta comodità, se non che lui?

Lavandosi le mani e sistemando la scena del crimine a proprio piacimento, fino all’arrivo dei sanitari e dei carabinieri, una ventina di minuti più tardi. In realtà, poco dopo Calligaris, in via Orsaria era arrivato con il proprio buggy il maggiore dei suoi due figli, Giacomo, all’epoca minorenne (a sua volta indagato e scagionato con decreto di archiviazione nel novembre 2012): vedendolo, il padre gli ordinò di andare ad attendere i soccorritori all’ingresso del parco, tenendolo lontano dal patio.

Anche questa, al pool di carabinieri al lavoro sul “giallo” - il maggiore Fabio Pasquariello e il brigadiere Edi Sanson -, era parsa un’anomalia. Difficile immaginare che un padre che trova la compagna stramazzata al suolo lasci il figlio muoversi nel buio da solo, con il pericolo che il killer sia ancora nei paraggi. Ma Calligaris su questo ha sempre “resistito”, negando di avere compreso subito che Tatiana era stata colpita a morte da uno o più colpi di pistola (tre, per l’esattezza). Aveva pensato piuttosto al morso di un cane. Il che, evidentemente, non avrebbe comunque ridotto i rischi per il figlio.

Cadavere e telefoni. Eppure, quando trovò la compagna, Calligaris non si limitò a vegliarla. A sentir lui, seguendo le indicazioni che un operatore del 118 gli dava al telefono, la girò in posizione supina e cominciò a farle il massaggio cardiaco. Ecco, una delle parti del suo racconto più contraddittoria è proprio questa. Innanzitutto, mancano segni di sangue compatibili con il ritrovamento a pancia in giù della vittima. Altrettanto dicasi per una delle gambe piegate a semi squadra: se l’avesse veramente girata e dal lato in cui sostiene – osservano gli inquirenti -, non avrebbe potuto essere in quella posizione e il corpo avrebbe urtato contro il vicino attaccapanni.

Ma è soprattutto la manovra di rianimazione a non quadrare. Sul corpo di Tatiana non è stato riscontrato alcun segno che confermi la pressione: neppure un arrossamento dell’epidermide. E se, al contrario, si volesse credere che glielo praticò, come mai – ci si è chiesti – non c’è traccia di sangue sul cellulare della donna, che lui ammise di avere afferrato per rifiutare una telefonata (quella della moglie del fratello) e neppure sulla tastiera del telefono fisso con cui chiamò il 118? Quella che la Procura considera una “sceneggiata” sarebbe terminata con l’arrivo dei sanitari. Quando un’infermiera tagliò la maglietta e il giubbotto della paziente stesa a terra, sulla cinturà scivolò uno dei bossoli che l’aveva trapassata. «E questo cos’é?», disse Calligaris. Fingendo di avere compreso soltanto in quel momento che qualcuno le aveva sparato.

La villa e i vicini. La coppia non abitava isolata dal mondo. A poche decine di metri, in cima alla collina, c’è la casa dei genitori di Paolo e, dall’altra parte, quella della sorella. Come mai non chiese aiuto a nessuno, nè a loro e neppure a un qualsiasi amico, nel tempo - interminabile, se a non dare più segni di vita è la tua donna - trascorso attendendo i soccorritori? Calligaris, che oggi ha 49 anni e risiede con la moglie a Cividale, si è sempre professato innocente e i suoi difensori, gli avvocati Alessandro Gamberini, Rino Battocletti e Cristina Salon, hanno già annunciato appello.

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