Non è l’intervento concordato: condannato chirurgo plastico
Luana de Francisco
Il paziente era entrato in sala operatoria, all’ospedale di Udine, dopo avere sottoscritto un consenso informato per un intervento di asportazione di un tumore posizionato tra il naso e il labbro superiore e il successivo riparo del buco con uso del presidio Integra. La lesione, invece, era stata chiusa con la tecnica del lembo cutaneo. Non utilizzando pelle recuperata dalla coscia, quindi, come gli era stato proposto dal collegio dei medici che lo avevano visitato, ma con trascinamento di quella del viso stesso. Un cambio in corsa che l’uomo, a distanza di qualche tempo, aveva scoperto essere stato riportato quale possibile alternativa anche sul modulo firmato prima dell’intervento e che aveva finito per costare l’accusa di falso in atto pubblico al chirurgo plastico che lo aveva operato.
Ieri, il processo celebrato a carico di Jacopo Tesei, 50 anni, di Udine, si è concluso con la sua condanna a un anno di reclusione (pena sospesa) e al risarcimento dei danni alla parte civile – gli eredi dell’uomo, nel frattempo deceduto per altra causa –, costituitasi in giudizio con l’avvocato Alberto Tofful, di Gorizia, nella misura che sarà definita in sede civile. La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico Roberto Pecile, che ha ritenuto di concedere all’imputato le attenuanti generiche in regime di equivalenza con la contestata aggravante. Il pm Lucia Terzariol, titolare del fascicolo, aveva chiesto la pena a un anno e sei mesi, mentre il difensore, avvocato Tiziana Odorico, aveva concluso per l’assoluzione «perché il fatto non costituisce reato» o, in ultima istanza, per il mancato raggiungimento della prova del dolo.
La vicenda risale al dicembre del 2008 e, per quanto l’esposto fosse arrivato soltanto sette anni dopo – quando, disposto un accertamento tecnico preventivo per il danno estetico e funzionale lamentato dal paziente, furono rispolverati gli incartamenti –, l’ipotesi del falso non è stata dichiarata nel frattempo estinta per prescrizione proprio per la qualifica di atto pubblico che anche il consenso informato riveste, in quanto parte integrante della cartella clinica e fidefacente. «Documento che il chirurgo non aveva comunque alcun interesse ad alterare», ha argomentato il difensore, ricordando peraltro come all’epoca non esistesse alcun protocollo aziendale in materia e la maggior parte dei medici incontrasse e valutasse i pazienti direttamente in sala operatoria o, al più, nella pre-sala. L’avvocato Odorico si è anche soffermato a lungo sulla bontà dell’operato del proprio assistito, «il cui intento – ha detto – fu esclusivamente quello di ottenere il miglior risultato possibile per il paziente e che il mese successivo – ha aggiunto – volle personalmente occuparsi del delicato intervento demolitivo, risultato risolutivo e, come concluso dal ctu, eseguito con diligenza». Scontato l’appello. –
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