Non ci fu evasione, Danieli assolta su tutto

TRIESTE. Il punto era stabilire se la loro dichiarazione dei redditi andasse presentata in Italia oppure no. Se, cioè, le tre società controllate dal Gruppo Danieli di Buttrio e con sede formale in Lussemburgo finite nel mirino della Guardia di finanza - la Industrielle Beteiligung Sa, la Danieli International Sa e la Danfin International Sa -, operassero in piena autonomia o, piuttosto, sotto la diretta regia dei vertici di Buttrio.
In una parola, se quella realizzata dal 2010 al 2013 fosse o meno un’esterovestizione in un paradiso fiscale, come aveva ipotizzato la Procura di Udine, calcolando in circa 31 milioni di euro l’imposta evasa.
La risposta, quella che ha ribaltato la sentenza con cui il 16 ottobre 2018 il giudice monocratico del tribunale di Udine, sposando la tesi degli investigatori, aveva condannato il presidente Gianpietro Benedetti e il direttore amministrativo Alessandro Brussi a un anno e dieci mesi di reclusione l’uno (pene sospese), è arrivata venerdì 26 febbraio.
«Il fatto non sussiste», ha dichiarato la Corte d’appello di Trieste presieduta dal giudice Edoardo Ciriotto, con a latere i colleghi Andrea Odoardo Comez (relatore) e Gloria Carlesso, riformando il verdetto di primo grado nella parte impugnata dalla difesa, e confermando invece l’assoluzione per l’ipotesi di frode fiscale, che pure era stata originariamente contestata ai due manager, in relazione alla presunta evasione dell’imposta diretta di fatture emesse dalla “Otc – Oriental tachnical contracting co wll” di Abu Dhabi.
Non un particolare di contorno, quest’ultimo, visto che ad annunciare appello era stato lo stesso (allora) procuratore capo, Antonio De Nicolo, oggi sostituito dalla facente funzioni Claudia Danelon, titolare del fascicolo. Tanto più, considerando che in ballo c’erano somme tutt’altro che indifferenti.
La pubblica accusa puntava oltre che alla condanna degli imputati, anche alla confisca dell’imposta asseritamente evasa, per complessivi 7,5 milioni di euro. La difesa, rappresentata dall’avvocato Maurizio Miculan e dal professor Tullio Padovani, si era battuta a sua volta per l’assoluzione e per la revoca della confisca dei 31 milioni di euro disposta dal tribunale di Udine.
Del resto, i prodromi di una soluzione favorevole a Danieli si erano avuti in sede tributaria. E questo era stato uno dei due argomenti portati dalla difesa in appello. Da una parte, la voluminosa documentazione prodotta aveva cercato di dimostrare che le tre società avevano effettivamente operato in Lussemburgo, in piena autonomia, per tutti gli anni in contestazione, svolgendo l’attività, essenzialmente di natura finanziaria, in quel Paese.
«Danieli – hanno affermato i difensori – si è limitata a fornire le indicazioni strategiche tipiche e proprie di quella attività di “direzione e controllo” che il codice civile riconosce alla controllante nei confronti delle società controllate, all’interno di un gruppo di imprese».
Non meno preziose erano state le decisioni assunte dagli organi fiscali a loro volta investiti del caso. La Commissione tributaria provinciale di Udine aveva infatti riconosciuto l’insussistenza dell’esterovestizione con riferimento alla società Disa e l’Agenzia delle entrate, in autotutela, aveva annullato gli avvisi di accertamento relativi alle altre due società lussemburghesi Ib e Danfin.
«L’accertata inesistenza dell’obbligo di versare in Italia qualsivoglia tributo – hanno osservato i legali –, ha escluso alla radice anche l’obbligo di presentare le dichiarazioni dei redditi nel nostro Paese».
Da qui, quale «naturale epilogo», la sentenza di assoluzione con formula piena dei giudici di secondo grado. «A conclusione di un lungo iter – ha commentato l’avvocato Miculan – che ha visto sempre riconoscere la correttezza dell’operato di Danieli & c. spa, a partire dal provvedimento con cui, in corso di indagine, il gip di Udine aveva respinto una richiesta di sequestro per equivalente per 60 milioni di euro». —
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