Nelle case di riposo entrano solo gli operatori: i parenti restano fuori separati dai propri cari

Davanti alla Quiete, a Udine, dove i parenti dei 350 ospiti della casa di riposo e dei 60 della Rsa non possono più entrare, uomini e donne leggono i cartelli che annunciano la chiusura anche del bar interno. «Non è possibile» pensa più di qualcuno ma quando gli viene spiegato che si tratta di una misura per prevenire gli eventuali contagi da coronavirus, tutti fanno un passo indietro e aggiustano i toni: il virus manda in quarantena anche la protesta e il malumore.
Nella struttura di via Sant’Agostino non può entrare nessuno, l’unica deroga concessa è per i parenti stretti dei malati terminali e dei pazienti affetti da malattie rare sistemati in camere singole per ridurre i contatti. Dentro i reparti ci sono persone fragili, dentro queste mura un contagiato metterebbe a rischio la qualità del servizio e la vita dei nonni. Sono loro i più colpiti dalle conseguenze provocate dal virus arrivato dalla Cina. Provvedimenti analoghi, previsti dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, sono entrati in vigore in tutte le case di riposo del Friuli Venezia Giulia.
A Udine, in una giornata segnata dalla pioggia, davanti al cancello de “La Quiete” semi deserta, si presenta una persona con il nipote per consegnare alcuni documenti in amministrazione, non entrano. Sono invitati a rimanere oltre il cancello, scende un’operatrice e si offre di accompagnare uno soltanto – «qui si entra uno alla volta» spiega – negli uffici al piano superiore. Entra il più giovane anche lui dovrà sottoporsi alla misurazione della temperatura e al lavaggio delle mani. Questa è la prassi per tentare di arginare l’emergenza sanitaria da coronavirus.
Le misure. «Abbiamo bloccato gli accessi a tutti i familiari con qualche lievissima eccezione per i pazienti terminali e le situazioni particolari» spiega al telefono il direttore della Quiete, Salvatore Guarnieri, elencando le misure a cui sono sottoposti tutti gli operatori sanitari e i lavoratori che garantiscono i servizi nei vari padiglioni di via Sant’Agostino. «Chi entra alla Quiete viene sottoposto al lavaggio delle mani e alla misurazione della temperatura, se supera i 37,5 viene contattato il medico, reperibile nelle 24 ore all’interno della struttura, per valutare se metterlo o meno in isolamento. Se la positività viene riscontrata al personale in servizio, automaticamente scatta il monitoraggio e la sostituzione di tutte le persone che sono entrate in contatto con l’infetto, persone che in quel caso saranno costrette a lasciare immediatamente il posto di lavoro per entrare in quarantena.
Alla Quiete si fa di tutto per prevenire il contagio da coronavirus: «Con un solo caso di positività – continua il direttore sanitario – potrei trovarmi con 30 persone in meno, in quel caso dovrei andare a prendere personale da altri reparti abbassando così i livelli di assistenza». Il direttore sanitario non riesce neppure a immaginare le conseguenze che potrebbero verificarsi nel caso in cui il virus dovesse entrare all’interno della struttura pubblica udinese: «Abbiamo operatori che girano su 130 posti letto. Immagina le conseguenze?» chiede Guarneri soffermandosi sull’età media degli ospiti che è pari a 88 anni, molto più alta della media rilevata a livello nazionale tra deceduti per coronavirus.
Da qui la preoccupazione di dover affrontare un’emergenza senza precedenti. Il personale, dai medici agli infermieri agli operatori sanitari, si è reso disponibile a una maggiore flessibilità. Anche grazie al loro sforzo, l’azienda può agire con severità nel rispetto delle misure assunte e veicolate attraverso il sito internet e una linea telefonica dedicata, il cui numero è annotato sul volantino che viene consegnato all’ingresso a tutti coloro che, uno per volta, accedono alla struttura. Da giovedì scorso è chiuso pure il Centro diurno dove gli anziani trascorrevano soprattutto i pomeriggi in compagnia, mentre dalla residenza “Ai Faggi” gli ospiti non possono uscire. «Abbiamo bloccato gli accessi e gli anziani non possono usciere» conclude il direttore sanitario confermando che anche tra gli anziani autosufficienti i problemi sono gli stessi. Problemi, per altro, compresi dal Comitato parenti che riconosce la necessità dell’entrata in vigore delle misure.
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Nelle altre strutture. Anche nelle case di riposo del gruppo “Sereni orizzonti” e nelle rispettive Residenze sanitarie assistite (Rsa), hanno libero accesso solo i direttori amministrativi e sanitari, gli infermieri, gli operatori socio-sanitari, gli psicologi, gli addetti alle cucine e alle pulizie. In queste strutture prima delle ordinanze sono scattate le procedure interne che hanno impedito l’accesso alle persone con sintomi influenzali. «I nostri operatori – si legge in una nota – non fanno uso promiscuo di materiale e l’uso dei cellulari viene loro interdetto nelle more delle valutazioni dei rischi generali». Analoga la situazione nelle strutture del gruppo Zaffiro dove le misure assunte sono le stesse. Anche qui come altrove le deroghe concesse vengono registrare invitando i parenti ad auto dichiarare di non aver avuto febbre, tosse e problemi respiratori nei 14 giorni precedenti e di non aver avuto contatti con persone risultate positive al virus. Tutti devono lavarsi le mani e indossare la mascherina antidiffusiva per la durata della visita.
I parenti comprendono, rispettano le regole, ma non nascondono che dal punto di vista affettivo per loro è un sacrificio. Lo è perché, in molti casi, uno sguardo, una carezza, un sorriso valgono più di una telefonata, possono diventare il toccasana che cambia la giornata a un anziano. Inutile dire che il personale, attraverso il punto informazioni, resta a disposizione per ogni chiarimento, l’obiettivo è mantenere la calma soprattutto tra gli ospiti.
Gli anziani, lo ribadiamo, sono i più esposti al rischio contagio. Non a caso il Dpcm invita gli ultra settantacinquenni a non uscire di casa e gli ultra sessantacinquenni con problemi di salute a evitare i luoghi affollati. Lo stesso decreto vieta anche agli accompagnatori dei pazienti in ospedale di restare nelle sale di attesa dei dipartimenti di emergenze e accettazione e dei pronto soccorso.
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