Negozi, i cinesi soppiantano gli africani

di Martina Milia
Il commercio e le attività di servizio made in China prendono sempre più piede in città. Se gli african shop arrancano, più di qualche negozio ha chiuso i battenti in tempo di crisi, gli imprenditori asiatici si dimostrano più intraprendenti: non solo aumentano la loro presenza, ma sanno convertire più rapidamente la propria attività. L’abbigliamento a basso costo funziona poco? Si chiude e ci si dà alla gestione di pubblici esercizi e di servizi come le parrucchierie. A Pordenone, nel giro di pochi mesi, sono tre i negozi di parrucchiere aperti da imprenditori cinesi. Come si riconoscono? Dai prezzi, mediamente la metà di quelli di mercato.
Negozi cinesi. L’ultimo negozio di parrucchieria made in China ha aperto i battenti in viale Martelli (vicino a un negozio storico come La Murrina) e si aggiunge a quelli di viale Grigoletti e di via Santa Caterina. Un viale che negli ultimi anni ha sofferto molto dal punto di vista commerciale. Pochi gli imprenditori che hanno continuato a credere in questa zona della città, come dimostrano le diverse vetrine dove campeggia il solitario cartello “affittasi”. I cinesi sembrano invece aver abbandonato il filone dei negozi di abbigliamento e accessori a basso prezzo. Dopo quello chiuso in piazza Costantini – al suo posto un punto vendita di ortofrutta gestito sempre da titolari stranieri – ha chiuso anche quello in via Oberdan (a fianco alla pizzeria Cupido), uno dei primi ad aver aperto in città.
Pubblici esercizi. Gli imprenditori asiatici si sono poi specializzati nel rilevare pubblici esercizi ben avviati, senza modificare stile e quindi clientela. In piazza Risorgimento hanno rilevato prima il bar Tiffany e quello da Peo, poi il caffé Commercio e lo Zanzibar. Lungo il ring ci sono il Ting Ting (in piazza Duca D’Aosta) e il Woody (via XXX aprile). Più vicino al centro il Queen’s in piazzale Ellero.
African shop. A soffrire maggiormente della crisi economica sono i negozi africani, quelli che vendono generi alimentari, alcolici e simili. Spariti quelli in viale Trento (qui sembra prossimo all’apertura un alimentare) e via Sturzo che avevano creato i maggiori problemi di ordine pubblico con le comunità residenti. Ha chiuso anche il negozio in via Caboto, uno dei primi che avevano aperto in città, mentre sembrano resistere – anche se non tutti – gli internet e phone center. Ce ne sono in via Dante e piazza Risorgimento, in piazza Duca D’Aosta e via Rovereto (la vietta che collega viale Trento a piazzetta Costantini).
Negozi vuoti. Il commercio, nonostante l’avvento delle imprese gestite da stranieri, non fa più il tutto esaurito in città. Vetrine con la scritta “affittasi” non si trovano solo lungo il ring. Negozi lasciati vuoti, dagli italiani, si trovano anche in via De Paoli o piazza XX settembre, a dimostrazione del fatto che i costi di gestione e il calo dei consumi non fanno sconti a nessuno.
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Anche la ristorazione etnica ha una sua fetta di mercato, ma in questo caso non quella cinese. I ristoranti cinesi che tanto andavano di moda negli anni ’90 sono spariti uno a uno dopo i vari scandali legati alle condizioni igieniche e così sono pochi quelli rimasti e che hanno una clientela numerosa perché propongono cucina di qualità. Hanno preso invece piede, anche in città, i negozi di kebab: alcuni propongono, oltre alla carne speziata, la pizza. Questi hanno, oltre a clienti stranieri, anche clienti italiani. Ristoranti etnici sono poi quello turco e quello giapponese in piazza Risorgimento.
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