Mostro di Udine, il giallo continua: lo scialle non rivela il nome al Ris

Gli esami non hanno rilevato la presenza di profili genotipici diversi da quello della sola Marina Lepre. Il reperto era stato consegnato dalla figlia della vittima. Un incontro sul caso in sala Ajace

UDINE. L’ambizione era di riconoscere le mani del serial killer sullo scialle della sua ultima vittima. L’aveva indosso mentre veniva uccisa, la notte del 26 febbraio del 1989: era stata strangolata, colpita al ventre con un’arma da taglio e abbandonata sul greto del Torre, in località San Bernardo.

E quando Udine si era risvegliata e aveva scoperto il cadavere di Marina Lepre, ennesimo scempio di un’atroce e inspiegabile catena di omicidi di donne giovani e indifese, quello scialle le era stato semplicemente sfilato e riposto in una scatola. Chiuso a invecchiare, insieme agli altri effetti personali che gli inquirenti avevano accantonato come «cose inutili».

Ecco, è su quello scialle, restituito alla figlia della Lepre due anni fa e diventato all’improvviso la possibile chiave di volta di un “giallo” lungo 43 anni, che si sono infrante ora anche le ultime speranze. I carabinieri del Ris di Parma, ai quali la Procura di Udine lo aveva inviato, hanno risposto con pollice verso. Mesi di prelievi ed esami di laboratorio hanno permesso di isolare un unico profilo genetico: quello - va da sè - della stessa vittima, riconoscibile da un capello biondo. Altro, con un reperto tanto logoro, non era immaginabile trovare.

Trovato un unico capello

Anche l’ultimo tentativo di scovare un qualche brandello di verità, insomma, è sfumato. Ci avevano voluto credere tutti, nel 2012, quando l’allora procuratore aggiunto (oggi capo facente funzioni), Raffaele Tito, aveva mandato il plico al Reparto investigazioni scientifiche. A cominciare proprio dalla figlia della Lepre: la madre, maestra elementare, le fu strappata all’età di 40 anni, quando lei era ancora una bambina. Assistita dall’avvocato Federica Tosel, due anni fa decise di consegnare a “Chi l’ha visto?” lo scialle di cui era tornata in possesso a 23 anni di distanza dal delitto.

L’effetto mediatico fu immediato e il caso del cosiddetto “mostro” di Udine tornò agli onori delle cronache e delle investigazioni. Il responso, però, è a dir poco tombale. «Gli accertamenti biomolecolari compiuti - si legge nelle conclusioni a cura del tenente colonnello Marco Pizzamiglio e dei marescialli Davide My e Maurizio Sticchi - hanno consentito di ottenere un unico profilo genotipico dai prelievi (radice formazione pilifera di colore biondo repertata nell’area dello scialle classificata con il numero 8), riconducibile a un soggetto di sesso femminile, verosimilmente l’utilizzatrice Lepre Marina». Altro non è emerso.

Le pinze del medico indagato

Esito negativo anche dai test eseguiti sui reperti che erano stati sequestrati dai carabinieri del Nucleo investigativo, allora comandati dal capitano Fabio Pasquariello, all’unica persona finita sul registro degli indagati a metà degli anni Novanta: un medico di 60 anni, di Udine, sorpreso la notte del ritrovamento della Lepre a pregare a voce alta vicino alla chiesa di San Bernardo. All’uomo, per il quale era stata disposta infine l’archiviazione non essendo stati trovati elementi in grado di raggiungere il rango di prova certa - e comunque deceduto di lì a poco - erano stati “sigillati” una forbice, due pinze chirurgiche, altrettanti attrezzi chirurgici a forma di pinzatrice e un attrezzo con impugnatura e rotella in metallo.

Per tutti gli oggetti, il Ris ha dichiarato «l’assenza di tracce biologiche evidenti». A instradare gli inquirenti sulla pista del medico era stata, in particolare, la consulenza che il medico legale Carlo Moreschi aveva consegnato all’allora procuratore Giorgio Caruso. Una volta sgozzate - aveva scritto l’anatomopatologo - le donne venivano squartate con un bisturi.

La scrittrice e l’avvocato

Della scia di sangue cominciata nel 1971, con il massacro di Irene Belletti, e conclusa nel 1989, con la Lepre appunto, per un totale di 15 donne uccise - in prevalenza prostitute - si era tornati a parlare l’anno scorso anche grazie alla pubblicazione del libro “Femmine un giorno” (edito da Bébert), che Elena Commessatti ha scritto a metà tra inchiesta e romanzo, per raccontare alla sua terra e all’Italia intera, per la prima volta, uno dei casi di cronaca nera più efferati degli ultimi anni. Saranno di nuovo lei e l’avvocato Federica Tosel le protagoniste dell’incontro in programma oggi, alle 18, in sala Ajace, all’interno del programma di iniziative “Passi avanti”, pensato dal Comune in occasione del 25 novembre, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. La serata, intitolata “Il caso mostro di Udine, tra finzione e verità” e coordinata dal Centro di Documentazione Casa delle Donne, sarà moderata dal giornalista Paolo Medeossi.

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