Il silenzio ha protetto l'assassino

Chi è il Mostro di Udine e c’è forse mai stato veramente? Io me ne sono occupata, per prima, dal 2008 ascoltando le voci della città, e un nome girava sempre e da molti anni. Si diceva fosse schizofrenico, misogino, ossessionato dalla religione.  

Ho scritto “Femmine un giorno”, la storia del presunto “Mostro di Udine”, perché è capitata a me che di mestiere racconto storie, e questa storia andava raccontata. Per dovere civile, con rabbia, con il grido della letteratura, che lascia una traccia più sottile, se grida senza gridare, per onorare la verità.

Chi è il Mostro di Udine e c’è forse mai stato veramente? Io me ne sono occupata, per prima, dal 2008 ascoltando le voci della città, e un nome girava sempre e da molti anni. Si diceva fosse schizofrenico, misogino, ossessionato dalla religione. Bipolare, diremmo ora. Fuori e dentro dalle cliniche, protetto affettuosamente dalla famiglia, lasciato libero di essere. «Era tutto strano quello», mi hanno detto in questi anni. Ma chi di noi non è “strano”?

E perché è così importante questo racconto? Perché è difficile convivere con il male come vicino di casa, meglio non pensarci. Perché da scrittrice mi sono sempre domandata se, forse, l’understatement udinese, cioè la riservatezza che questa meravigliosa terra offre, non sia stata l’inconsapevole molla dell’ostracismo o reticenza legata a questa macabra vicenda. Qui gli inquirenti facevano il loro dovere, ma la città non parlava, non vedeva, forse non si accorgeva. Una grande bolla nera di omertà senza colpa, tra clienti, prostitute, passanti, osservatori per caso. O semplice superficialità.

Quindici le donne uccise a Udine dal 1971 al 1989, la maggior parte prostitute, e quattro di questi delitti, a distanza di due anni, presumibilmente effettuati da un’unica mano, esperta di armi da taglio. Una città di centomila abitanti all’epoca, con poche vie per la prostituzione: sempre quelle, “ancora quelle” nel 2014. Stravagante che nessuno abbia mai notato nulla.

Certo, c’è la sfortuna del tempo legato all’analisi del medico legale, effettuata ben 5 anni dopo l’ultimo delitto, e l’allure sociale della categoria “prostituta”, ma se non ci fossero stati i carabinieri a svolgere delle indagini quasi private, non saremmo arrivati neppure a questo. E così sono arrivata io, con la mia penna, dentro questa storia, ad aiutare il coraggio della figlia di Marina Lepre, nel 1989 una bambina di 9 anni quando le hanno “rubato” la madre.

È lei che ha portato lo scialle allo scoperto. E così, ora che i Ris di Parma danno la conferma che il tempo trascorso pesa come un macigno, be’ ora forse la città avrà qualcosa da dire. Chissà, forse si ricorderà qualcosa, perché non si può dimenticare tutto quello che fa male o è troppo difficile da comprendere.

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