Mostro di Udine, caccia al Dna su anello e spilla di Marina Lepre

Un anello in argento e una spilla di plastica: Marina Lepre li aveva addosso la notte in cui fu barbaramente uccisa, il 26 febbraio 1989, in località San Bernardo. Trent’anni dopo, è a quei monili che la famiglia e gli investigatori guardano con la speranza di chi confida ancora di dare un nome e un volto all’assassino.
E cioè a quel fantomatico “mostro di Udine” che, oltre a lei, avrebbe trucidato una parte delle altre tredici donne, di cui molte prostitute, trovate inspiegabilmente morte in Friuli tra il 1971 e il 1989. Una drammatica scia di sangue conclusa proprio, e altrettanto misteriosamente, con l’omicidio di Lepre, che invece faceva la maestra, aveva 40 anni e una figlia che l’attendeva a casa, a Cividale.
MOSTRO DI UDINE, CHIESTA LA RIAPERTURA DELLE INDAGINI: CHE COSA SAPPIAMO
- Sono 15 le donne, dodici delle quali prostitute, uccise tra il 1971 e il 1989, forse per mano della stessa persona
- Federica Tosel, incaricata dai parenti di due delle vittime, Maria Luisa Bernardo e Maria Carla Bellone, ha presentato istanza di riapertura delle indagini presso la Procura di Udine
- Nel corso delle riprese della docu-serie tv Il Mostro di Udine, che andrà in onda su Sky, sono stati trovati alcuni reperti, raccolti dalle forze dell’ordine sui luoghi dei due omicidi, che non vennero mai analizzati, perché all’epoca la tecnologia forense non lo permetteva
- La prima vittima, nel primo giorno d’autunno del 1971, è Irene Belletti. Marina Lepre è uccisa barbaramente sul greto del fiume Torre, tra il 25 e il 26 febbraio 1989: è l’ultima della lunga serie. Una colonna di omicidi che ha avuto solo tre condanne, ma mai un colpevole per quelli avvenuti con le modalità della Lepre.
Punta a fare luce soltanto su quest’ultimo caso, dunque, il secondo troncone di indagini avviato qualche settimana fa dal sostituto procuratore Paola De Franceschi, in parallelo con l’inchiesta precedentemente aperta dal procuratore capo Antonio De Nicolo sul “giallo” dei corpi senza vita di Maria Luisa Bernardo e Maria Carla Bellone, rinvenuti rispettivamente a Moruzzo, nel 1976, e a Pradamano, nel 1980. Una sequenza di cold case cui l’emittente “Crime + Investigation” aveva dedicato una mini serie, andata in onda su Sky la scorsa primavera.
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Il nuovo fascicolo, va da sè, è ancora a carico di ignoti, ma la svolta potrebbe arrivare proprio dall’analisi dei reperti che i carabinieri hanno sequestrato il 28 novembre scorso, dopo avere parlato con la figlia della vittima, Fedra Peruch, e con i fratelli Amedea e Cesare. Ed era stata proprio la zia Amedea, cui a suo tempo la polizia giudiziaria aveva restituito gli effetti personali della sorella Marina, a consegnare alla nipote, una volta diventata maggiorenne, la cassetta dei ricordi della madre. Dentro c’erano anche l’anello e la spilla su cui gli inquirenti ipotizzano possa essere rimasta traccia del Dna dell’assassino.
Materiale biologico che, se presente, le attuali tecnologie investigative potrebbero fare ancora emergere, colmando decenni di buio e impunità. Per scoprirlo, la Procura ha scelto l’ex comandante dei carabinieri del Ris, generale Luciano Garofano, biologo e specialista in tossicologia forense, già impegnato a Udine nelle indagini sull’omicidio di Tatiana Tulissi. L’incarico gli sarà conferito martedì mattina, al comando provinciale dei carabinieri, mentre l’attività sarà eseguita al laboratorio di genetica forense del Centro antidoping “Alessandro Bertinaria” di Orbassano, in provincia di Torino.
Avvisati dell’accertamento tecnico irripetibile, due dei tre familiari indicati quali persone offese hanno provveduto a formalizzare l’incarico ai rispettivi legali: la figlia Fedra sarà rappresentata dall’avvocato Luisa Monai e la sorella Amedea dall’avvocato Carlo Monai, che già in passato aveva seguito la famiglia, compreso Attilio, padre di Marina. La donna era stata strangolata, colpita al ventre con un’arma da taglio e abbandonata sul greto del Torre.—
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