Morì per un’ernia, da 20 giorni senza funerale

Sono sette i medici indagati. I familiari di Maurizia Cumin, 64 anni: «Vogliamo una tomba su cui poterle portare i fiori»

SAN GIOVANNI AL NATISONE. A venti giorni dalla morte, la salma di Maurizia Cumin è ancora in una cella frigorifera e la famiglia attende di celebrare i funerali. La Procura sul caso ha aperto un fascicolo ipotizzando l’omicidio colposo per colpa medica e iscrivendo sette professionisti nel registro degli indagati. «Maurizia è morta, ma ancora non sappiamo perché. Nessuno ci ha detto niente e non abbiamo ancora una tomba su cui piangerla o portarle dei fiori» è il commento sconsolato del consuocero Paolino Papais.

È un silenzio che pesa quello che circonda il decesso di Maurizia Cumin, pensionata di 64 anni residente a San Giovanni al Natisone, affetta da un’ernia addominale, che nel primo pomeriggio del 26 aprile entrò in sala operatoria all’ospedale di Palmanova per un intervento e morì il 4 maggio successivo dopo una lunga agonia.

A pretendere chiarezza su quella morte, tanto inaspettata quando difficile da giustificare, sono il marito Aldo e il figlio Luca Cantarutti, che rivogliono indietro la salma e si chiedono come mai l’autopsia non sia stata ancora effettuata sul corpo della donna, visto che l’incarico era già stato affidato all’anatomopatologo Antonello Cirnelli.
«Siamo sorpresi da questa attesa – commenta l’avvocato Anna Agrizzi che con Gabriele Agrizzi rappresenta la famiglia della vittima – l’allungamento dei tempi va a compromettere una situazione che è già dolorosa di per sé. È stata avanzata riserva di incidente probatorio al gip Matteo Carlisi» ammette.

Nel fascicolo aperto dal sostituto procuratore Letizia Puppa sono finiti quattro chirurghi e tre anestesisti. Si tratta di Mario Sorrentino, Roberto Prandi, Stefano Ferfoglia, Matteo Roberto Adamo, Federico Barbariol, Vanni Michelutto e Annamaria Pangher.

«Venti giorni per un’autopsia mi sembrano tanti» commenta il consuocero Paolino Papais. Un’attesa angosciosa, visto che da quando i familiari hanno presentato denuncia sull’accaduto ai carabinieri, su consiglio dell’Associazione diritti del malato, non hanno più avuto notizie.

«Da anni aveva un’ernia addominale che doveva operare – commenta Papais – si era finalmente decisa a farlo perché le avevano detto che si trattava di un intervento di routine, che si fa anche in day hospital. Quel giorno entrò in sala operatoria alle 12.50; il figlio Luca e il marito Aldo l’aspettavano fuori. Pensavano di rivederla entro un’ora, ma il tempo passò e quando alle 16.20 i medici uscirono, si limitarono a dire che c’era stato un problema e che dovevano trasferirla all’ospedale di Udine.

Ci volle più di un’ora perché l’ambulanza arrivasse al Santa Maria della Misericordia, tanto che il marito arrivò in ospedale in anticipo sull’autolettiga e dovette aspettare. Da allora Maurizia è rimasta in Terapia intensiva fino alla morte, intervenuta alle 18.30 di giovedì 4 maggio.

Mai in tutto il periodo del suo ricovero – continua Paolino Papais – abbiamo saputo cosa fosse successo. I medici si dimostrarono subito pessimisti, ma anche se era evidente che durante l’intervento era successo qualcosa di sbagliato, nessuno voleva ammetterlo».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto