Morì per un’ernia, archiviazione per sei medici

SAN GIOVANNI AL NATISONE. L’unico chiamato a rispondere dell’ipotesi di reato di omicidio colposo, in relazione alla morte di Maurizia Cumin, la pensionata di 64 anni di San Giovanni al Natisone deceduta il 4 maggio 2017, all’ospedale di Udine, dov’era stata trasportata d’urgenza il 26 aprile a seguito delle complicazioni insorte durante l’intervento chirurgico per un’ernia addominale, cui era stata sottoposta all’ospedale di Palmanova, è il professionista che l’aveva operata e che, a seguito di una manovra sbagliata, ne avrebbe determinato una lesione risultata poi letale.
È la conclusione cui è approdata la pm Letizia Puppa, all’esito della consulenza medico-legale espletata in sede d’incidente probatorio dal consulente tecnico d’ufficio Lorenzo Desinan. Condividendone le argomentazioni, fatte proprie anche dai consulenti di parte, tra cui l’anatomopatologo Antonello Cirnelli e il chirurgo Ernesto Angelucci, il magistrato ha quindi chiesto l’archiviazione per tutti gli altri sanitari, tra chirurghi e anestesisti, inizialmente iscritti sul registro degli indagati.
Ritenuto a sua volta escluso qualsiasi profilo di colpa commissiva od omissiva a loro carico, il gip Matteo Carlisi ha accolto l’istanza ed emesso il relativo decreto. Sono così usciti di scena Mario Sorrentino, il direttore di Chirurgia e del Dipartimento chirurgico dell’ospedale unico Latisana-Palmanova, «che – aveva rilevato il difensore, avvocato Cristina Salon – non aveva neppure partecipato all’intervento», Stefano Ferfoglia, Matteo Roberto Adamo, Federico Barbariol, Vanni Michelutto e Annamaria Pangher. Del collegio difensivo facevano parte anche gli avvocati Tiziana Odorico, Michele Tibald, Rino Battocletti e Fausto Discepolo.
L’avviso di conclusione delle indagini preliminari è stato dunque notificato al solo Roberto Prandi, il chirurgo che operò la paziente. «Non abbiamo ancora preso alcuna iniziativa difensiva – spiega il suo legale, avvocato Mario Reiner, di Trieste –, perchè attendiamo il deposito della sentenza delle sezioni unite della Cassazione, contenente l’interpretazione corretta della nuova norma (la legge Gelli-Bianco, ndr) in materia di colpa medica». Erano stati il marito e il figlio della paziente, con gli avvocati Anna e Gabriele Agrizzi, a presentare una segnalazione ai carabinieri quando si trovava ancora in terapia intensiva. Quello per l’ernia addominale avrebbe dovuto essere un intervento routinario.
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