Mitico Zoncolan, una salita che laurea in ciclismo FOTO

Il monte al centro di un affascinante volume edito da Forum. Lo ha scritto il giornalista del Messaggero Veneto Antonio Simeoli in vista del Giro 2014, che si deciderà sul Kaiser

UDINE. Zoncolan, secondo il professor Desinan, è un antico nome che sta a significare “piante tagliate”. Lì sopra la gente di Ovaro e della Val Degano andava appunto a prender legna, portava al pascolo le mucche e produceva ciò che serviva a vivere, come racconta Agostino Crosilla, classe 1924, detto Ustin, che abita nell'ultima casa di Liariis, prima che la strada schizzi verso il cielo, che si aprano le porte dell'inferno e inizi il teatro terrificante di una salita ormai entrata nelle mitologia del ciclismo.

Qui, tra l'altro, assume contorni incredibilmente visibili una vecchia storia cara ai friulani di ogni età. È la vicenda spaventosa che chiama in causa il boboròs, termine usato nel linguaggio popolare per indicare un luogo buio e orrido, appunto l'inferno. Da piccoli tutti siamo stati minacciati da genitori e nonni con lo spauracchio di essere mandati nel boboròs se non avessimo ubbidito. Una tradizione nata addirittura, secondo don Gilberto Pressacco, con il celebre, meraviglioso mosaico della basilica di Aquileia in cui si vede il profeta Giona gettato nel ventre scuro della balena e poi rinato a nuova vita dopo esserne uscito.

Cosa c'entra lo Zoncolan con tutto questo? Leggete allora le parole di Davide Cassani, ex ciclista, commentatore tv e adesso commissario tecnico della Nazionale: «Lo Zoncolan è una leggenda, come il Mortirolo, anzi è più duro del Mortirolo. Una leggenda come lo sono Stelvio, Gava, Marmolada, Cime di Lavaredo. Ma tra queste è la salita più ardua. Perché quando vai lassù sui pedali ti senti laureato in ciclismo. E il suo luogo simbolo sono le tre gallerie. L'uscita da quei tunnel rappresenta uno spettacolo unico con tutta quella gente che attende i corridori. Vedi la vetta e anche se le ultime centinaia di metri non sono facili capisci che ce la farai, che avrai vinto l'inferno».

Sono momenti epici, narrati ripetutamente da campioni e cronisti, come fa Luca Gialanella, responsabile del settore alla Gazzetta dello Sport: «Al ciclista, in trance agonistica, pare di entrare davvero in un mondo soprannaturale e tagliare il traguardo è quasi una liberazione. Lo Zoncolan è una conquista, una sorta di leopardiano colle dell'infinito al contrario». E a tutto questo ben di Dio per chi ama il ciclismo onesto e sincero si può dare pure un approccio di omerica poesia come fa Claudio Gregori, firma della Gazzetta, erede di una schiera di narratori del ciclismo in bianco e nero, che scrive: «Qui c'è l'arena di canto dei galli forcelli, la lepre variabile sta cambiando mantello. È un mondo di nuvole e fiori. Il luogo degli scalatori alati, lievi come i semi di soffione...».

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Meglio, infinitamente meglio, parlare di galli forcelli, di fringuelli, di genzianelle, di soffioni che di doping, di trucchi, di sostanze strane e micidiali, di blitz, di inchieste, di tutto ciò che maciulla la voglia di aria pulita e di belle storie. Il ciclismo è fatto apposta per sospingere la fantasia e i buoni sentimenti della gente, che agisce con la mente e con le gambe, messe in azione per raggiungere i luoghi più insoliti dov. er veder transitare quei fachiri coloratissimi tesi nello sforzo. E per chi vuole, ama, anzi reclama tutto ciò, la nuova Terra Promessa è il nostro carissimo, carnicissimo, attraentissimo Zoncolan, la montagna rivelazione degli anni Duemila, simbolo di una sfida in cui i friulani hanno saputo dare il meglio per realizzare un sogno. In piccolo, in sedicesimo, detto con rispetto, è un po' il tipo di sforzo colossale attuato per uscire in una decina d'anni dall'emergenza causata dal terremoto. I friulani sono gente strana, particolare, chiusa forse, ma quando agiscono compatti, decisi, con la convinzione di ciò che hanno in testa, sanno fare miracoli, come è accaduto lassù sopra Ovaro, Sutrio e Comeglians.

Spiegata così, la storia dello Zoncolan diventa un affascinante romanzo friulano. E adesso il romanzo esiste proprio nel senso che quanto abbiamo qui sintetizzato e moltissimo altro è narrato in un libro che rappresenta un punto d'arrivo, ma anche di partenza per quello che potrebbe accadere se si continuerà ad agire con analogo spirito. Si intitola Zoncolan. La montagna diventata mito e l'autore è Antonio Simeoli, giornalista caposervizio al Messaggero Veneto, che da sempre è un cultore come cronista e praticante del ciclismo. Il volume è pubblicato dalla Forum Editrice Universitaria Udinese, in collaborazione con il Messaggero Veneto e con la Gazzetta dello Sport. Nella prefazione Ivan Basso racconta l'emozione, i palpiti, i sentimenti con cui nel 2010 diede l'assalto a quel colosso vincendo la tappa e volando verso la maglia rosa e la rinascita. «

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C'è un ricordo – dice Ivan – che resta nella mia mente e nel cuore, che vale più di qualsiasi titolo o successo: la grandezza della montagna rappresentata dalle migliaia di tifosi che vedevo ogni volta alzando gli occhi in un qualcosa di assolutamente straordinario e unico». Sono dettagli da brivido che ci apprestiamo a vivere di nuovo, tra poco. Simeoli infatti ha pensato a questo libro decidendo di entrare in azione lo scorso 13 settembre quando venne presentato il percorso finale del Giro d'Italia 2014 con la tappa del 31 maggio Maniago-Zoncolan e la conclusione del primo giugno Gemona-Trieste.

Le pagine si sono allora riempite di parole, di interviste, di foto bellissime, di grafici per spiegare una vicenda di cui possiamo essere orgogliosi, cominciando dalle curiosità storiche come quelle rivelate da Ustin di Liariis o da Olivo Soravito, che era tra le centinaia di operai impegnati nel 1940 nella costruzione della mulatttiera che da Ovaro portava sullo Zoncolan. Una strada prevista nel poderoso sistema di difesa chiamato Vallo Littorio, o anche Testimone di cemento. Quelle fortificazioni erano volute da Mussolini per difendersi dalle eventuali sorprese di Hitler con cui pure aveva stretto il Patto d'acciaio. L'incredibile iniziativa venne definita anche “la linea del non mi fido”. Cose da pazzi, ma andò proprio in questo modo.

Il libro di Simeoli, fra testimonianze, cronache e toni leggendari, che parlando di ciclismo non guastano mai, ricostruisce in maniera meticolosa la scoperta dello Zoncolan per cui una mulattiera alla fine divenne una strada strategica per ridare credibilità e fascino a uno sport che gli scandali del doping stavano devastando nell'immagine pubblica. I primi a intuirne le potenzialità furono i cicloturisti di Amici & Bici che indissero una gara con arrivo dal lato di Ovaro. E a parlarne in tv fu il 7 agosto 1998 addirittura l'allenatore dell'Udinese, Francesco Guidolin, in un post-partita del torneo Moretti, con Inter e Juve, dopo aver saggiato in mattinata la fatidica salita assieme all'amico Daniele Straulino. Queste le premesse che misero poi in moto la geniale intuizione avuta da Enzo Cainero, a cui il libro di Simeoli dedica ampi capitoli e anche la postfazione. Con fantasia, caparbietà, contatti giusti, spirito manageriale, Cainero, friulano di Cavalicco, ha costruito il gioiello nella lunga collezione di organizzatore di eventi, facendo leva soprattutto su quello spirito d'alpino che è vivo in ciascuno di noi.

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Questo e moltissimo altro (come i successi di Simoni nel 2003 e nel 2007 salendo sia da Sutrio sia da Ovaro, i clamorosi dati Auditel a suon di milioni di spettatori, la beffa del Crostis nel 2011, le accuse a Contador, l'impegno generoso dei sindaci delle vallate e di centinaia di volontari...) potete leggere in un libro che fa ripassare la lezione in vista delle magiche giornate di maggio, aspettando le quali è interessante soffermarsi sul potenziale offerto dallo Zoncolan, montagna per la quale la Regione, con le giunte di vario colore, ha stanziato finora 2 milioni e mezzo di euro. Sulle prospettive intervengono il cineasta e direttore della fotografia, Dante Spinotti, carnico di Muina, la presidente del Mediocredito, Cristiana Compagno, e il direttore del Messaggero Veneto, Omar Monestier. Tutti d'accordo sul fatto che lo Zoncolan non è solo una perla sportiva, ma una opportunità colossale per il turismo della nostra montagna. Così il Kaiser, come è affettuosamente chiamato dai ciclofili, può schiudere le porte a un paradiso più che a un inferno.

Una mulattiera che si trasforma in un purosangue economico in tutti i sensi. Basta crederci e agire con la cadenza degli alpini, costanti, concreti e appassionati. Da noi funziona sempre.

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