Mezzo secolo di attività al caseificio Alto But: così si salva la montagna

la storia
alessaNDRA CESCHIA
A unirli è stato il coraggio, la determinazione e forse anche un po’ di incoscienza. È con questi presupposti che mezzo secolo fa nasceva il caseificio Alto But che sabato ha chiamato a raccolta soci e fornitori e ieri con la Cooperativa malghesi ha organizzato l’asta dei formaggi a Sutrio per celebrare la ricorrenza.
Oggi il caseificio, che ha aperto prima lo spaccio a Sutrio e, più recentemente, quello a Tolmezzo, conta su una sessantina di soci conferitori e vanta un volume di affari di 2,5 milioni di euro. Assieme al Caseificio Val Tagliamento di Enemonzo è l’unico a essere sopravvissuto a una strage silenziosa che ha determinato la chiusura di tantissime latterie in montagna. Ma è stato un cammino difficile, che ha richiesto scelte coraggiose, racconta il presidente Claudio Peresson. «Fino agli anni ’60 ogni paese aveva la sua latteria turnaria e i soci conferivano il proprio latte che veniva loro restituito sotto forma di prodotti lavorati» riferisce. Il centro di quel microcosmo produttivo era il casaro, aiutato dai soci a turno, cui era affidata la direzione di tutte le operazioni. Ma l’aumento dei costi di gestione e il calo degli allevamenti giunsero a minacciare la sopravvivenza di questa organizzazione. Fu così che i presidenti delle latterie sociali di Timau, Cleulis, Casteons, Paluzza, Rivo, Cercivento di Sopra, Cercivento di Sotto, Sutrio, Priola-Noiaris, Zovello e Piano D’Arta, nel 1969 confluirono nel Caseificio Alto But, che entrò in produzione tre anni più tardi.
«Gli immobili delle vecchie latterie furono utilizzati come depositi per il latte e per mantenerli abbiamo dovuto investire, visto che le normative si sono fatte più rigorose – racconta il presidente –, sarebbe stato più vantaggioso chiuderle, ma questo avrebbe portato alla scomparsa delle piccole aziende agricole rimaste, che non avrebbero potuto sostenere i costi di trasporto per la consegna diretta in caseificio. Nella nostra cooperativa lo spirito di solidarietà ha infine prevalso sull’aspetto economico».
Nel tempo, le difficoltà non sono mancate e con i venti di crisi si giunse a ipotizzarne la chiusura. «In un’animata assemblea nel 1993 in cui si doveva decidere questo passaggio – racconta Peresson – la mia testardaggine e forse un po’ di incoscienza, hanno convinto la maggioranza dei soci a non aderire alla proposta di chiudere per conferire al Caseificio Val Tagliamento di Enemonzo o al Consorzio Latterie friulane. Il tempo ci ha dato ragione». Attualmente, il caseificio nel periodo invernale raccoglie 120 quintali di latte al giorno e 70 d’estate, quando molti allevatori vanno in malga.
«Gran parte della nostra produzione è commercializzata con vendita diretta – spiega il presidente – produciamo formaggio latteria con marchio Alto But, caciotte, ricotte fresche, affumicate, pastorut, mozzarella e yogurt. Negli anni, abbiamo cercato di mantenere la qualità del prodotto di montagna. Ma ora pensiamo anche a nuovi progetti, come il potenziamento dei punti vendita, l’informatizzazione e l’e-commerce». —
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