Messaggero Veneto, il racconto degli ex e si pensa a un museo

UDINE. Nella notte tra il 4 e il 5 maggio del 1968 cambiò la storia del Messaggero Veneto. In una notte il giornale passò alla stampa a freddo, senza l’uso del piombo, delle Lynotipes, delle fonderie e della stereotipia.
Quella rivoluzione è stata raccontata dai giornalisti e dai tipografi di allora nella sala Fantoni del teatro Giovanni da Udine. Anche questo è stato un modo per festeggiare i 70 anni del Messaggero Veneto. Un momento in cui sono state gettate le basi per la costituzione del museo del Messaggero Veneto.
E' stata una rimpatriata quasi commovente. Sul palco al fianco dei moderatori Elena Commessatti e Paolo Medeossi, gli ex di viale Palmanova che prima di lavorare nell’attuale sede progettata da Gino Valle, composero il giornale nella redazione di via Carducci.
La redazione ricordata da Mario Blasoni, il giornalista che visse il passaggio leggendario alla stampa a freddo e al colore. «Fu un passaggio annunciato, sapevamo da tempo che stavano progettando la nuova sede, ma nessuno prima dell’inaugurazione l’aveva visto». Il commento fu: «Oddio è fuori mano».
Tanti gli aneddoti raccontati ieri davanti ai colleghi di oggi e al pubblico che ha voluto conoscere la storia del giornale. Gianni Ziraldo ha ricordato che il primo giornale stampato a freddo richiese 17 ore di lavoro, «iniziammo alle 15 e finimmo alle 8 del mattino seguente».
Fu un evento, ma non al 100 per cento perché come ha aggiunto Umberto Venier, «l’attrezzatura Ibm non era ancora in grado di fare gli occhielli, i sommari e i titoli. Passai notti interminabili a casa di Enzo China per risolvere i problemi dei titoli, ma non ci fu verso di farla funzionare».
China era l’inventore della fotocomposizione, ma neppure le sue doti creative riuscirono a risolvere il problema dei titoli. La soluzione venne trovata molto dopo, nel 1976. Venier ricorda molto bene quando il direttore Vittorino Meloni, alla vigilia del passaggio alla stampa freddo gli disse: «Siamo sicuri di partire, se domani il giornale non esce può stare a casa».
Altri tempi in cui i vari Umberto Bonetti, Valentinis, Venier e Taboga assieme agli altri colleghi uscivano dalla tipografia alle 2.30 del mattino e in stazione aspettavano di bere il primo caffè nel bar appena aperto. Perché se, questa era una regola introdotta da Meloni, nella sede di viale Palamanova si davano tutti del lei, fuori erano un gruppo di amici.
E Blasoni ha confessato che il periodo più divertente fu l’interregno tra le direzioni Tigoli-Meloni con Isi Benini a capo del giornale. Oggi qualche collega non c’è più da qui il doveroso minuto di silenzio.
E poi l’apprezzamento per la volontà annunciata dal consigliere delegato, Fabiano Begal, di raccogliere tutte le testimonianze nel museo del Messaggero Veneto che tra i primati scriverà anche il nome dell’unico direttore udinese, Tommaso Cerno.
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