UDINE. Mediocredito erogava finanziamenti alle aziende in riserva di denari e quelle, che dello stato di decozione in cui versavano nulla dicevano, fallivano. Non sempre, ovviamente, ma capitava. E a pagarne le spese finiva per essere anche la banca. È una storia di sofferenze, conti in rosso e moria del tessuto imprenditoriale regionale quella che la Procura di Udine sta cercando di ricostruire con l’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza del capoluogo friulano e culminata nelle perquisizioni che, da mercoledì, vedono impegnata una ventina di militari nella sede udinese dell’istituto di credito, in via Aquileia 1.
L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è che la banca abbia concorso alla bancarotta di alcune delle aziende cui, negli anni, ha concesso finanziamenti: 49 quelle già dichiarate fallite - le sentenze si collocano in un arco temporale compreso tra il 2012 e il 2016 – e un centinaio quelle per le quali è ancora in corso l’accertamento dello stato economico, patrimoniale e finanziario. Su tutte, comunque, il giudizio resta sospeso. Soltanto alla fine dell’esame delle decine di faldoni sequestrati, il pm Paola De Franceschi potrà tirare le prime somme e individuare le persone - tra imprenditori, manager, professionisti e, eventualmente, anche dipendenti di Mediocredito - da iscrivere sul registro degli indagati.
Il meccanismo
Il fascicolo, quindi, per ora resta a carico di ignoti. In Procura, oltre all’ipotesi del concorso in bancarotta semplice - imputazione assolutamente provvisoria e che potrebbe evolvere in quella della fraudolenza per distrazione -, si lavora anche a quella del mendacio bancario: un reato contravvenzionale che presuppone la falsa dichiarazione alla banca di dati relativi allo stato di salute dell’impresa ai fini della concessione di un credito. Da una parte, quindi, il capitano d’azienda che volontariamente tace le difficoltà economiche che sta attraversando. Dall’altra, secondo una formulazione accusatoria al momento assolutamente astratta, il funzionario compiacente che, a sua volta, approva ed eroga finanziamenti a società a un passo dall’insolvenza e che poi omette di farne cenno sui bilanci di fine anno. Proprio come ipotizzato nell’esposto presentato nel 2016 dall’europarlamentare Marco Zullo, dopo avere letto la relazione di Banca d’Italia sull’ispezione condotta in via Aquileia nel 2010, e averne incrociato i dati con i bilanci di Mediocredito e con gli elenchi delle aziende fallite - il 72 per cento - nonostante l’iniezione di denari.
Il ruolo dei dipendenti
«Il nostro obiettivo – ha affermato il procuratore capo, Antonio De Nicolo – è chiarire se esista una correlazione tra finanziamenti erogati e dichiarazioni di fallimento e se all’interno della banca vi fosse qualcuno d’accordo con gli imprenditori». Se, insomma, si siano verificati episodi di ricorso abusivo al credito bancario e, in caso affermativo, se il fenomeno avesse assunto i crismi della sistematicità. «A breve non prevediamo nuove iniziative – ha aggiunto De Nicolo –. Ora la priorità è rappresentata dall’esame dell’enorme mole di materiale sequestrato, memorie dei computer compresi. Ritengo che i finanzieri completeranno il lavoro in due o tre mesi. Soltanto poi si procederà con l’audizione dei dipendenti». Per agevolare l’attività investigativa, che è coordinata dal comandante del Nucleo di polizia tributaria, tenente colonnello Davide Cardia, Mediocredito ha messo a disposizione degli inquirenti un locale all’interno della propria sede.
Crac dal Veneto al Friuli
Delle aziende finite nella rete della Procura, diverse erano venete e le altre distribuite tra le quattro province della regione. Per alcune, naturalmente, i rapporti bancari partono da lontano, addirittura dal 1993. Va da sè come si tratti di dati ininfluenti, o quasi, ai fini dell’indagine, risalendo a epoche per le quali, in ogni caso, sarebbe già scattata la prescrizione. Da qui, anche la necessità di una scrematura del materiale raccolto. L’analisi riguarderà in particolare le modalità con cui, per ciascuna pratica, è stata condotta l’istruttoria del credito. Impossibile, in questa fase del procedimento, quantificare l’ammontare dei finanziamenti che sarebbero stati impropriamente erogati. Le cifre, a seconda dei casi, ballano tra qualche milione e poche decine di migliaia di euro. Difficile anche prevedere la direzione che l’inchiesta imboccherà, una volta completato il puzzle: la prima domanda che gli indagati saranno chiamati a rispondere, verosimilmente, riguarderà l’utilizzo che delle somme uscite dalle casse di Mediocredito si è fatto.
La parte lesa
In una nota diffusa ieri, giovedì 28 settembre, Mediocredito tiene a ribadire come l’ipotesi della bancarotta non riguardi in alcun modo l’istituto, che anzi risulterebbe «parte lesa», e indica le «operazioni prese in esame nella perquisizione, nella totalità, relative a delibere assunte nel periodo 1997-2013». Nel ribadire «la massima collaborazione» offerta agli inquirenti, la banca ha auspicato «che si arrivi al più presto all’accertamento della verità. Ove risultassero accertate responsabilità penali ai danni dell’istituto – ha aggiunto –, Mediocredito si tutelerebbe in tutte le sedi giudiziarie competenti». Esclusa, infine, «qualsiasi influenza delle perquisizioni della Guardia di finanza su eventuali processi aggregativi o di partnership in corso».
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