Mastelloni: «Il Friuli Vg è una terra che attrae: camorristi disseminati anche qui»

UDINE. C’è chi la definisce una lenta, ma inesorabile “infiltrazione” nei territori sani del Paese e chi, al contrario, parla di “mafia a chiamata” e, quindi, di ospiti tutt’altro che sgraditi. Il procuratore della Repubblica di Trieste e (in quanto tale) capo della Direzione distrettuale antimafia del Fvg, Carlo Mastelloni, preferisce esprimersi nei termini di una «disseminazione».
Perchè, da anni ormai, l’avanzata della criminalità organizzata di stampo mafioso in regione è un fatto compiuto e quel che si può e si deve fare, oggi, è imparare a riconoscerla e contrastarla.
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Proprio come nel caso del gruppo di camorristi, e dei loro non pochi insospettabili accoliti, finiti al centro delle due maxi inchieste - una a trazione friul-giuliana e l’altra con targa veneta - culminate tra dicembre e ieri in decine di misure cautelari, perquisizioni e sequestri.
IL VIDEO: Lirio Abbate parla delle infiltrazioni mafiose in Friuli
«Il Veneto è già aduso ad analizzare e reprimere i fenomeni di criminalità organizzata – osserva Mastelloni, che a Trieste arrivò nel febbraio del 2014, dopo avere lavorato come aggiunto proprio alla Procura di Venezia –, mentre il Friuli Venezia Giulia è rimasto a lungo qualche passo più indietro.
Ma ora, complice anche una maggiore attenzione ai segnali presenti, iniziano a vedersi significative assonanze quanto a insediamenti e interessi camorristici. Ormai, parlare di infiltrazione è un modo elegante per evitare di affermare che ci troviamo di fronte a una vera e propria disseminazione di fenomeni criminali». Prova ne siano, appunto, gli sviluppi di entrambi i filoni d’indagine sulle attività del clan dei Casalesi.
«L’operazione dei colleghi veneti, molto elaborata e ponderata – osserva Mastelloni –, è sintomatica di qualche filo comune. Un lavoro importante – aggiunge – e che valorizza e conferma le nostre ipotesi accusatorie».
Quelle che ruotano attorno alla figura di Fabio Gaiatto, ex trader di Portogruaro indagato dalla Dda di Trieste per l’ipotesi di reato di tentata estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso e della transnazionalità (oltre che dalla Procura di Pordenone, nell’ambito di un’altra inchiesta, come riferito nella pagina a fianco), insieme ad altre sei persone (ma il numero potrebbe crescere) legate al clan dei Casalesi, appunto.
«È gente che ogni giorno s’inventa cento modi diversi per investire fraudolentemente – aveva affermato Mastelloni lo scorso 18 dicembre, quando furono notificate le misure cautelari, parlando degli investimenti milinari affidati al re Mida portogruarese –. La criminalità organizzata galoppa, mentre noi, con i mezzi che abbiamo, arranchiamo».
Poi, il 1° febbraio, era stata proprio Trieste la città scelta da don Luigi Ciotti per ospitare gli stati generali di Libera con una tre giorni dedicata a “Contromafiecorruzione”. Un’occasione preziosa per studiare, approfondire e riflettere sulle emergenze contemporanee.
«Viviamo in un territorio aggredibile sul piano turistico – aveva ammonito Mastelloni –: località di mare come Grado, Lignano, Bibione, Caorle, e di montagna, come Sappada e Tarvisio, sono oggetto di attenzione».
E il riferimento non era e non è soltanto agli investimenti, per lo più immobiliari, finalizzati a “lavare” denaro di provenienza illecita. A preoccupare, ieri come oggi, continuano a essere tanto i traffici di droga e di armi, quanto la tratta di esseri umani, il caporalato e tanti altri fronti ancora.
E allora, per sorvegliare una regione con circa 8 mila chilometri quadrati di territorio, con opere importanti come la costruzione della terza corsia sull’A4 e realtà industriali della portata dei cantieri navali di Monfalcone, gli occhi della macchina investigativa andrebbero moltiplicati per dieci.
Perchè, come ricorda la Direzione investigativa antimafia anche nell’ultima relazione (quella relativa al primo semestre 2018), e come non aveva mancato di rilevare il procuratore generale Dario Grohmann, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, «la ricchezza del tessuto economico-produttivo del Friuli Venezia Giulia costituisce un polo di potenziale attrazione per i sodalizi criminali, anche di tipo mafioso». Adieu, isola felice. —
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