Marzotto: «Ho venduto per paura della crisi»
C’è chi la crisi la sta subendo, pagandone le conseguenze a caro prezzo, e chi è riuscito a scansarla, vendendo l’azienda prima che la situazione degenerasse. Così ha fatto Matteo Marzotto. A confessarlo è stato lo stesso presidente della Fondazione Cuoa, ospite, insieme allo storico dell’arte Philippe Daverio, della tavola rotonda “L’arte di fare impresa”, moderata dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier. «Non l’ho mai detto in pubblico - ha ammesso Marzotto - ma ho avuto paura di quello che stava per succedere. Appena mi è capitata l’occasione ho deciso di cedere la mia azienda». Un colloquio, quello tra Daverio e Marzotto, andato in scena al Palamostre, nell’ambito dell’edizione 2013 di Start&Go, che Monestier ha cercato di indirizzare sui temi dell’economia. «Questa parte d’Italia mi sta simpatica perché lavora - ha detto Daverio, salito sul palco con un patriottico completo bianco, rosso e verde -. In Italia siamo in 60 milioni, la metà dei quali non lavora (si tratta di donne a casa o di giovani disoccupati). Togliendo i pensionati, gli statali e chi lavora non avendo clienti ma utenti, restano 5 milioni di persone che fanno, bene o male, impresa. Numeri risicati che ci consentono comunque di competere a livello europeo. Ecco perché un incremento della giovane impresa può avere un effetto forte per la nostra economia». Con la solita verve, Daverio è riuscito a divertire e a convincere la platea, discutendo prima delle capacità distintive dell’Italia (le 4F), poi delle necessità rivoluzionarie dei giovani. «Dal 1791 a oggi - ha aggiunto - ogni generazione ha avuto diritto a una sua verifica catartica. Quando è toccato a voi, hanno tirato giù il muro di Berlino, interrompendo gli anelli naturali della rivoluzione».
Marzotto ha spaziato tra lobby, debito pubblico e spending review («perché non ci si chiede quanto costa Confindustria», ha affermato provocatoriamente), ma il gran finale è toccato a Daverio. «Come fare per salvare l’Italia? - si è chiesto - Ogni italiano deve adottare un ricco». (a.c.)
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