Mariateresa, la sarta che dal 1959 cuce i vestitini per le Barbie: così con materiale di riciclo crea cappellini e abiti da sera

Originaria di Fiume Veneto, nel 1958 emigrò in territorio canadese: «Con gli scampoli producevo gli abiti per le bamboline appena uscite» 
Enri Lisetto

FIUME VENETO. «Cari giovani, fate un’esperienza all’estero. Per studio o per lavoro. Può essere una scelta dolorosa, ma rafforza il carattere». Mariateresa Bomben, 88 anni, è originaria di Fiume Veneto: «A Pescincanna lavoravo nella bottega di alimentari, sale e tabacchi, di famiglia». Il concittadino Giuseppe Miorin, venuto a mancare alcuni mesi fa a 94 anni, emigrò in Canada nel 1955: «Aveva un po’ di simpatia per me, ma io non collaboravo».

La vigilia di Natale di tre anni dopo era al bar: serviva coloro che stavano andando alla messa di mezzanotte. «Lo vidi sulla porta ed esclamai: “Ancora quello lì”». Era tornato per lei. Si sposarono quattro mesi dopo, il 12 aprile 1958. «Come viaggio di nozze, due settimane a Roma con una Topolino che aveva affittato e che poi avrebbe comprato». I primi di maggio ripartì per Halifax. «Lo raggiunsi, in aereo, il 10 agosto. Ero in attesa della prima figlia e non sapevo una parola di inglese». Il giorno prima, le recapitarono un telegramma del marito: «Con fatica, accetta. Vedrai che sarai contenta». La accolse in aeroporto con un mazzo di fiori.

«Abitavamo in due stanze: una per noi e una per i suoi fratelli». Giuseppe Miorin aveva un lavoro stabile come guardiano. «Decidemmo di comprare casa: affittandone una parte – a due italiani e a un medico cinese – avremmo pagato il mutuo. Io cominciai a cucire vestiti per le signore canadesi. Mi portavano la stoffa, prendevo le misure, tagliavo e cucivo».

Con gli scampoli preparava vestitini per le Barbie. Con i tappi delle bottiglie del latte creava cappellini, gli abitini del giorno e della sera di stoffa o in lana, con l’uncinetto o i ferri. Nelle occasioni importanti li regalava alle figlie Francesca e Paola. Sempre due, uguali.

«Con cinque figli in sei anni, c’erano anche Emanuele, Natale e Pierluigi, non potevo muovermi troppo. Allora mi dedicai alla sartoria e ai vestitini, che costavano un patrimonio». Mariateresa mostra quegli abiti raccolti in due valigette di plastica che custodiscono ancora le Barbie. Sono pure state oggetto di una mostra. Ogni tanto apre quelle valigette per raccontare la sua storia ai nipoti Alberto, Isabella, Davide, Leonardo, Lorenzo e Giulia.

Passarono dodici anni, durante i quali Mariateresa e Giuseppe accantonarono denaro per garantire un futuro alla numerosa famiglia. «Mio marito produceva di nascosto grappa per arrotondare. Qualcuno fece la spia: venne multato e perse il lavoro. Dopo, si dedicò alle manutenzioni, ma cadde da un’impalcatura e rimase in ospedale un mese».

Era tempo di tornare. «In tutto quel tempo, ogni settimana arrivava una lettera di mamma: non c’erano telefoni. Ci diceva che l’Italia stava vivendo un boom economico. Vendemmo la casa per acquistarne una in Italia, con il ricavato dei soldi della macchina pagammo la nave». Era febbraio 1969.

Si ricominciava daccapo. «Questa non è la nostra terra!», piangevano i bambini. «Siamo qui per farvi stare bene». Mariateresa tornò al bar di famiglia, Giuseppe Miorin prima alla Zanussi poi camionista. Portarono tanti giocattoli all’asilo di Pescincanna.

A Orcenico Superiore individuarono una casa con negozio. Mariateresa si mise in proprio. Ottenne le licenze per la vendita di generi alimentari, articoli da regalo, botti. «Ma fu l’edicola a incrementare davvero il lavoro. All’alba, gli operai della Ceramica Scala infilavano la monetina sotto la porta e si portavano via il giornale». Così per cinquant’anni. Famiglia religiosa, in Canada trattennero buoni legami con molta gente: «Il vescovo James Hayes venne a trovarci durante un viaggio in Italia».

Mariateresa conclude: «Ho voluto raccontare la mia storia al Messaggero Veneto, di cui sono affezionata lettrice da cinquant’anni. E consiglio ai giovani un’esperienza all’estero: si imparano tante cose».

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