L’ultimo rito di commiatonel cimitero di Raspano

di
Michele Meloni Tessitori
RASPANO.
«
O soi restât simpri cà
». Nel silenzio di un cielo terso ritagliato da un filo di neve a disegnare la fiaba delle sue montagne appoggiate al dolce declivio di Cassacco e di altri luoghi della sua infanzia, Carlo Sgorlon è tornato dov’era sempre stato, nella naturalezza delle Lidrîs, delle radici, come era intitolato il canto composto dal tricesimano Marco Maiero e intonato ieri dal coro Gotis di notis mentre Raspano, in silenzio, si raccoglieva attorno ai familiari dello scrittore e accompagnava il suo figlio illustre nel piccolo cimitero della chiesa di San Marco, tra i nuovi cipressi già protesi verso l’infinito.
Salutato da un plotone di gelsi, da un timido riflesso su una meridiana e da un rintocco di campane velato di nostalgia e quasi gioioso, lo scrittore è stato accolto sul sagrato da un paese disposto ordinatamente, in pianto composto, adeguato alla semplicità francescana del feretro che evocava la sobrietà di papa Wojtyla. «Io spero nel Signore, nella sua parola», ha detto il parroco don Giobatta Della Bianca rivolgendosi alla vedova Edda e al fratello dello scrittore, Romano, che guidavano il piccolo corteo dei familiari.
Poi il sindaco Vannes Assaloni è andato all’essenza dell’insegnamento impartito dallo scrittore. «Ha dato un radicamento al popolo friulano», ha detto. «La sua scelta di costruire qui la sua casa letteraria ci riempie di orgoglio». «La sua parola - ha ancora osservato - ha difeso il mito della civiltà contadina, ma ha anche predicato un’idea di sviluppo compatibile». «È stato l’anima del Friuli, coerente con i suoi valori», ha sottolineato ancora il sindaco che ha quindi ricordato i legami inscindibili dello scrittore con Cassacco e con Raspano, l’adolescenza di fiaba in un paese quasi onirico, accanto al nonno, maestro elementare.
«Ora ha scelto di riposare qui», ha concluso il sindaco anticipando ciò che il coro del paese, diretto da Nicola Simeoni, ha intonato richiamandosi proprio alle profonde radici dello scrittore quasi potesse ancora dire «
O soi restât simpri cà
».
Attorno, in ascolto, nel delicato contagio della commozione, la sorella dello scrittore Piera, i nipoti Livia, Marco, Federico, Paolo, e le sorelle di Edda, Aurora e Teresa Agarinis e il fratello Mario, e il cognato Giuseppe Iseppi con la figlia Elisa. Accanto tanti amici e tra questi la flautista Luisa Sello con la sorella Carla, e Francesco Piani responsabile del Sert. E Giorgio Baiutti, consigliere regionale e per lunghi anni primo cittadino di Cassacco.
Il momento del commiato era ormai vicino. Dopo la benedizione impartita dal parroco, la moglie Edda e il fratello Romano si sono accostati al feretro e nell’attimo del saluto e del distacco la vedova si è rivolta ai paesani che le si stringevano attorno per un ringraziamento «a chi ci ha dimostrato tanto affetto». Un grande abbraccio ideale riservato particolarmente al coro «per avermi fatto sentire per un momento le stesse emozioni che Carlo ha espresso nei suoi libri».
Carlo Sgorlon riposa nell’ala nuova del cimitero di Raspano che guarda giú e si perde in un orizzonte di piena campagna. Lo stesso cui guarda, poco lontano in linea d’aria, una bella casa del colore aranciato tipico delle residenze in collina. «È la casa dello scrittore» ci spiega il sindaco Assaloni. «Disegnata da lui esattamente come la desiderava per tornare con la memoria alla sua infanzia e adolescenza trascorse qui», ci racconta Giorgio Baiutti.
«Ero sindaco quando scelse di comprare il terreno e di edificarla – ricorda Baiutti –. La sua anima è legata a questi luoghi, sua moglie Edda insegnava a Cassacco, Carlo ricordava gli anni in cui non andava neppure a scuola, ci pensava il nonno maestro elementare a istruirlo. Fece direttamente l’esame di quinta e con che risultati! La sua morte segna una perdita per tutti, per la nostra comunità, alla quale era legato indissolubilmente, ma per tutto il Friuli che ha avuto in lui un testimone e un narratore senza confronti».
Baiutti ricorda anche il momento in cui lo scrittore soffrí «per l’ostracismo di certa cultura. Un anno fa, presentando
La penna d’oro
, ci confessò il suo sconcerto per certi atteggiamenti della critica, ma proprio in quell’occasione ebbe modo di rinfrancarsi, ebbe la riprova che il Friuli lo amava. E lo amerà ancora».
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