L’originalità espressiva del dialetto pordenonese

Massimo Buset, autore del libro “Mi par ti”, spiega come la parlata sia frutto di diverse culture

Pubblichiamo un estratto dell’intervento di Massimo Buset alla presentazione del suo libro “Mi par ti”, poesie nella parlata pordenonese, all’ex convento di San Francesco, sotto la regia della Propordenone.

***

La poesia dialettale entra nella mia vita in modo timido e sporadico rispetto alla poesia scritta in italiano, per poi diventare sempre più frequente e importante, un amor che striga. Pensare, scrivere e parlare in dialetto mi evoca l’ineguagliabile armonia della nascita del suono e la germinale vitalità che precede alla lingua moderna.

Il vernacolo esprime l’autenticità dell’origine delle parole, delle tradizioni, dei sentimenti che pur a volte apparendo “primitivi” sono patrimonio di una storia che ci appartiene, ci ha accompagnati nel tempo ed è nel presente bellezza che svela e insegna.

Comunemente si crede che il dialetto sia il linguaggio della povera gente e indichi chiusura rispetto alle necessità di comunicare con altre realtà oltre a quella locale. Non è assolutamente così in particolare per quanto riguarda la parlata pordenonese perché da uno studio attento si evince che essa nasce proprio dall’intersecarsi di popoli e culture diverse ed è quindi ricca di vocaboli di origine etrusca, latina, longobarda, francese, tedesca eccetera, persino di un vocabolo di origine precolombiana, cichera che significa tazza o scodella. Il dialetto quindi è frutto del convergere, è quasi una profezia di comunione. Il limite non è nel dialetto, ma nella chiusura mentale di chi parla per sentito dire e perpetua luoghi comuni.

Inoltre l’originalità espressiva e il colore della parlata pordenonese non hanno traduzione italiana che ne imprimano la stessa bellezza, verità e significato ed esprimano lo stesso calore ed emozione. Alcuni proverbi, aneddoti, motti racchiudono una sintetica profonda saggezza, un’etica e spiritualità di cui abbiamo ancora bisogno nel rapporto con noi stessi, con gli altri, con la natura e con Dio, per superare il qualunquismo e la banalizzazione dell’essere. Cito un esempio per tutti: far le robe ben, cioè fare una cosa bene tecnicamente, con arte, e far le robe pulito nel senso di improntate moralmente all’onestà, rispettose delle nostre radici socio-culturali e religiose. A volte un tesoro si impoverisce perché viene depredato, nel caso del tesoro della nostra parlata pordenonese accade l’inverso: lo scrigno viene raramente aperto e di conseguenza il suo patrimonio viene indebolito, demineralizzato, annacquato.

Come possiamo evitare questo fallimento socio-culturale? Abbiamo a disposizione preziosi strumenti di studio e approfondimento tra i quali segnalo il dizionario della lingua veneta di G. Cavallin ricavato dagli scritti del Muazzo e del Boerio (ed. Zephyrus), il nostro dizionario “La parlata pordenonese” di G.G. Corbanese (ed. Lucaprint) e il dizionario del dialetto “Pordenonese” di Mario Sartor Ceciliot (ed. Propordenone onlus) di cui a breve l’auspicata ristampa. Suggerisco inoltre “Vitalità ed espressività poetica del dialetto di Pordenone” di Michela Passatempo (Provincia di Pordenone - assessorato alla Cultura), ma soprattutto il dialetto va parlato e mentre si parla gustato tra sol e Nonsel che se scambia caresse.

Le mie poesie hanno come soggetto tradizioni popolari, ricordi, particolari e scorci della mia città, persone conosciute per singolari caratteristiche che riflettono come in uno specchio valori umani e sociali forti, provocazioni, stimoli alla conoscenza, pungoli al pensiero e al risveglio in cui anch’io mi riconosco viandante.

Massimo Buset

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto