L'omicidio di Nadia, Mazzega rischia anche 30 anni ma niente ergastolo

UDINE. Il fatto che Francesco Mazzega sia reo confesso dell’omicidio della fidanzata Nadia Orlando non esclude, in automatico, la necessità di avviare sul caso un’inchiesta a tutto tondo.
E cioè di aprire un fascicolo, iscrivere il colpevole – che resta presunto fino alla pronuncia della sentenza del tribunale – sul registro degli indagati, interrogarlo, raccogliere testimonianze e disporre tutta la trafila di accertamenti utili a ricostruire la dinamica dei fatti.
Impossibile, diversamente, stabilire se e quanto sia vera la versione fornita dall’indagato. E non meno arduo, per il pm, formulare il capo d’imputazione.
Perchè a fare la differenza ai fini del computo della pena – quella chiesta dalla pubblica accusa e, poi, quella inflitta dal giudice –, in qualsiasi delitto, è proprio la scelta delle ipotesi di reato e delle eventuali aggravanti.
Codice alla mano, per come stanno adesso le cose, l’omicidio di Vidulis presuppone un’ipotesi di condanna che va da un massimo di 30 anni a un minimo inferiore ai 10.
Molto dipenderà dal comportamento processuale dell’omicida, che, in quanto incensurato e per il solo fatto di essersi costituito, seppure a distanza di quasi undici ore dal delitto, potrebbe beneficiare della concessione delle attenuanti generiche.
Ossia di una mitigazione più o meno significativa della pena. A meno che le bugie e le omissioni finora emerse non continuino a pregiudicarne l’attendibilità, finendo per cedere il posto al sospetto di un calcolato tentativo di alleggerire la propria posizione.
Altrettanto determinante potrebbe essere la contestazione delle aggravanti. Quella al momento ipotizzata dalla Procura di Udine presuppone i futili motivi connessi alla gelosia. Un motivo per nulla scontato, in realtà, come dimostrano i diversi casi recentemente sottoposti al vaglio della Cassazione.
Perchè l’aggravante regga, è necessario dimostrare come la gelosia sia il riflesso del desiderio di possesso del colpevole o un mero pretesto per il suo sfogo criminale. Un sentimento sproporzionato e banale, insomma, rispetto alla portata del delitto commesso.
E vale la pena di ricordare come il codice penale italiano abbia contemplato fino all’agosto 1981 – quando fu abrogato – il cosiddetto delitto d’onore.
Due le strade che la difesa potrebbe intraprendere non appena saranno chiuse le indagini: il rito ordinario, con l’istruttoria dibattimentale davanti alla Corte d’assise di Udine – strategia improbabile, trattandosi di un reo confesso –, o quello abbreviato davanti al gup, che garantisce al condannato, in ogni caso, la riduzione fino a un terzo della pena.
A rendere ancora più inverosimile la scelta del dibattimento è il rischio, per quanto remoto, di incorrere nell’ergastolo. Ipotesi esclusa con l’abbreviato, dove lo “sconto” permette appunto di scivolare dall’eventuale reclusione a vita, alla pena massima di 30 anni.
Sempre che il capo d’imputazione non contempli il concorso con un secondo reato (per esempio, un altro omicidio o l’occultamento del cadavere, che qui non figurano, naturalmente), che presuppone invece l’ergastolo con isolamento diurno. A saltare in virtù del rito, in quel caso, sarebbe proprio l’isolamento diurno.
Come si diceva, però, Mazzega parte avvantaggiato: l’aggravante non è di facile dimostrazione, mentre le attenuanti potrebbero essere alla sua portata. Sarà sufficiente che il giudice gliele riconosca in regime di equivalenza con l’aggravante, per scendere attorno ai 20 anni.
Qualora, invece, dovessero essere giudicate prevalenti, ovvero nel caso in cui gli fossero concesse senza riconoscimento dell’aggravante (ipotesi in cui si partirebbe da una pena massima di 21 anni), la riduzione potrebbe fare precipitare la pena in un range compreso tra 16 e 14 anni.
A questi, infine, andrebbe sottratto lo sconto fino a un terzo per il rito prescelto, con il risultato di portare la pena finale sotto i dieci anni. Un trattamento forse troppo benevolo e, quantomeno in primo grado, processualmente improbabile.
Da qui, l’importanza di ricostruire con massima precisione ogni fase del delitto, dalla sua genesi alle ore successive, quando Mazzega ha vagato in auto per quasi undici ore, con il cadavere di Nadia al proprio fianco.
Qualora le indagini condotte dagli agenti della Squadra mobile guidati dal vicequestore aggiunto, Massimiliano Ortolan, evidenziassero elementi in grado di sostenere in giudizio anche l’aggravante della premeditazione, le chances del 36enne di cavarsela con il minimo della pena si assottiglierebbero notevolmente.
Anche perchè questo avvalorerebbe pure l’ipotesi di depistaggio degli investigatori.
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