Lo strano caso dei Cap, i centri mai del tutto decollati

Funzionano le altre soluzioni scelte dall’Azienda  Bassa Friulana-Isontina per incrementare l’assistenza sul territorio provinciale
Una dottoressa prepara una dose di vaccino in uno degli ambulatori del Centro Vaccinale di via Statuto a Milano, 4 settembre 2017. Ansa/Daniel Dal Zennaro
Una dottoressa prepara una dose di vaccino in uno degli ambulatori del Centro Vaccinale di via Statuto a Milano, 4 settembre 2017. Ansa/Daniel Dal Zennaro

È passato un anno. Preciso. E l’annuncio dell’Azienda sanitaria, dodici mesi fa, fu quello di un «prossimo potenziamento» della sanità territoriale.

Era sembrato lì per lì un invito se non addirittura un mantra, in realtà era e continua ad essere la strategia ancora adottata dalla precedente amministrazione regionale che aveva puntato tutte le sue carte sui Centri per l’assistenza primaria. In realtà, questi “istituti” non sono mai decollati come erano gli auspici. E, più volte, quest’insufficiente sviluppo del servizio è finito al centro del dibattito politico, con il centrodestra a puntare il dito sui «corto circuiti» della riforma sanitaria targata Serracchiani.

Nel frattempo, l’Azienda sanitaria Bassa Friulana-Isontina ha fatto la sua parte su un altro versante. Il direttore generale, oggi neocommissario Antonio Poggiana annunciò qualche tempo fa che, a livello territoriale, «sono state acquisite e assegnate dieci unità infermieristiche alle neo-costituite “Aggregazioni funzionali territoriali” (meglio conosciute con l’acronimo Aft) che, assieme ai medici di medicina generale (Mmg), avranno il delicato ruolo di attivare la sanità d’iniziativa, ovvero prendersi cura dei pazienti cronici come, ad esempio, pazienti diabetici, o portatori di scompenso cardiaco e broncopneumopatie croniche, che saranno seguiti e monitorati dagli infermieri affinché rilevino eventuali situazioni di possibili acuzie al fine di allertare in tempi rapidi il medico di base evitando così ricoveri ripetuti e impropri e soprattutto migliorando la qualità di vita dei pazienti al proprio domicilio». E, infatti, c’è stato uno sviluppo della presenza degli infermieri di comunità che hanno dimostrato di essere molto efficaci.

Ma i Cap, dicevamo, non sono mai decollati realmente. Qualcuno, forse scherzosamente. l’aveva scambiato per il Codice di avviamento postale. In realtà, l’acronimo “Cap” si riferiva proprio a “Centro di assistenza primaria” e doveva essere uno dei capisaldi della riforma sanitaria targata Serracchiani-Telesca. I Cap, insomma, avrebbero dovuto risolvere il problema annoso e irrisolto della carenza di assistenza sul territorio e nelle periferie.

Poi, però, il tempo è passato e queste strutture non hanno mai avuto quello sviluppo che ci si augurava per tutta una serie di motivazioni. Tant’è che di recente l’assessore comunale al Welfare Silvana Romano ha sottolineato che, effettivamente, le cose non si sono messe come si prevedeva. «I Cap dovevano partire e, dove sono sono partiti, sono... partiti male», fu la sua rapida ma realistica analisi. Ed è chiaro che in un territorio in cui la popolazione sta invecchiando sempre di più e gli ospedali, per forza di cose, devono occuparsi dei casi acuti, viene da sé che l’assistenza sul territorio debba essere potenziata. —

Fra.Fa.

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