Lo “sbarco” dei minori non accompagnati: sono 684 in regione e costano 4 milioni di euro

UDINE. In piena controtendenza rispetto al trend nazionale (-41,1 per cento rispetto al 2017), il Friuli Venezia Giulia ha visto aumentare nel 2018 il numero di minori stranieri non accompagnati. Di più: la nostra è la quarta regione in Italia per accoglienza degli immigrati minorenni, dietro soltanto all’inarrivabile Sicilia, alla Lombardia e all’Emilia Romagna.
Secondo l’ultimo report del Ministero del Lavoro le 24 strutture convenzionate danno ricovero a 684 giovanissimi, un centinaio in meno rispetto a quelli censiti lo scorso dicembre, ma settanta in più se il riferimento temporale diventa il 2017.
La Regione punta a riformare il sistema di accoglienza dei Msna, con un giro di vite che mira nel medio termine a ridurre la spesa, che per il 2019 è stimata in 4.150.000 euro. In cinque anni il numero di soggetti è sestuplicato, passato dai quattro del 2014 agli attuali 24: tra tante strutture capaci di offrire un presente dignitoso e una prospettiva per il futuro ai ragazzi che arrivano in Friuli, c’è pure chi si limita al ricovero dei giovani, sfruttando le maglie larghe di un sistema inadeguato, solo parzialmente monitorato da chi invece dovrebbe verificare come vengono trattati i ragazzi e come i soldi pubblici vengono utilizzati.
Le falle nel sistema
Renato Garibaldi gestisce l’agricomunità Bosco di Museis, tre ettari di verde tra i monti che incorniciano Cercivento, Paluzza e il But. Accoglie i minori stranieri non accompagnati fin dal 2014: di qua ne sono passati circa settecento e oggi sono 25 quelli ospitati nei piccoli chalet.
«Se la Regione vuole risolvere il problema deve iniziare ad analizzare i flussi legati ai kosovari: arrivano qua a decine, facendosi beffe di un sistema pieno di falle», racconta Garibaldi, ligure per parte di papà (un trisavolo era fratello dell’eroe dei due mondi) e carnico grazie alla mamma. I dati della Regione confermano: la maggior parte dei minori stranieri accolti in Fvg sono kosovari (il 30,4 per cento) e il Friuli ospita sul proprio territorio due terzi dei ragazzi provenienti dalla repubblica dell’ex Jugoslavia che attualmente si trovano sul nostro territorio. Sebbene esista un problema legato alla tutela delle minoranze etniche, certificato anche da una risoluzione del Parlamento europeo, il Kosovo vive in questi anni una fase di sostanziale stabilità.
«Non scappano da guerre o da situazioni di rischio: parlano con i parenti che sono già in Italia, montano su un pullman e si presentano al commissariato con tanto di carta d’identità. E lo fanno, puntualmente, a sei-sette mesi dal compimento del diciottesimo anno», indica ancora Garibaldi.
«A Cividale c’è chi arriva addirittura al posto di polizia con un biglietto su cui è riportato l’indirizzo del Civiform», conferma Fabio D’Andrea, già sindaco di Rigolato e delegato Anci per l’accoglienza, oltre che tutore volontario di minori stranieri, figura introdotta due anni fa da una legge varata dal governo Gentiloni.
In fuga dal kosovo
«Seguendo questo iter – riprende il presidente del Bosco di Museis – i giovani kosovari guadagnano il diritto ad avere un permesso di soggiorno che potrebbero ottenere solo lavorando qui. Sono mantenuti, curati, assistiti a spese dei contribuenti: logico che le famiglie li spediscano qui». In media, a seconda delle convenzioni, ogni minore costa tra i 2.100 e i 2.400 euro al mese.
E non mancano gli episodi assurdi: «È capitato più volte di assistere al pellegrinaggio dei parenti di questi ragazzi che arrivano quassù con il macchinone e, dopo avergli lasciato banconote da cento euro, invertono la rotta per tornare in Lombardia o in Svizzera», aggiunge ancora Garibaldi, che conferma come la comunità di Museis abbia una sorta di «resistenza passiva» sui kosovari accolti, che sono soltanto tre. «È, senza giri di parole, uno scandalo: ho denunciato più volte alle autorità questo fenomeno, senza mai ottenere risposte convincenti. Servirebbe un intervento legislativo forte per risolvere un vero e proprio vulnus, che fa leva sui paletti insormontabili legati alla tutela dei minorenni», conclude il gestore della struttura di Cercivento.
Le nuove rotte
Fino a un paio d’anni fa era Tarvisio la porta d’ingresso principale, attraverso la quale i migranti (anche minori) entravano nella nostra regione. Ora i varchi privilegiati coincidono con le località che ospitano le comunità più strutturate, ovvero Trieste (41,6 per cento degli ingressi totali), Udine (18,4), Cividale (8,4), Muggia (7,8) e Gorizia (7,5).
Per la legge, a farsi carico del minore deve essere il servizio sociale del Comune dove il giovane viene identificato: i Comuni, a loro volta, possono sottoscrivere convenzioni con più strutture regionali. Il trend è confermato dal direttore generale del Civiform, Daniele Bacchet, che tra la città ducale e il capoluogo giuliano accoglie 141 minori stranieri non accompagnati (oltre 3.500 dal 2003 a oggi), soprattutto pakistani, kosovari e albanesi, altro fronte - quest’ultimo - che sta tornando caldo dopo le migrazioni di massa degli anni Novanta.
«Il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione che ha avuto una crescita del numero di arrivi di msna nell’ultimo anno», evidenzia Bacchet, citando i dati dell’Interno e auspicando la correzione di rotta da parte della Regione sulle procedure di accreditamento delle strutture, «con rette che devono essere parametrate rispetto ai servizi erogati». Il ruolo del privato sociale è determinante, «considerato che non esistono strutture pubbliche in grado di farsi carico della questione – evidenzia Bacchet – e che parliamo in ogni caso di ragazzi che nella stragrande maggioranza dei casi hanno tra i sedici e i diciassette anni».
Non a caso il 71 per cento dei minori stranieri accolti in Friuli Venezia Giulia ha proprio diciassette anni e sono appena dieci quelli che hanno meno di quindici anni.
Il problema dell’età
Due concetti - quello dell’età e del ruolo del terzo settore - che riprende anche Paolo Molinari, presidente della fondazione che governa la Casa dell’Immacolata, struttura udinese di accoglienza fondata nel 1952 da don Emilio de Roja: i suoi ritratti - appesi nei laboratori, negli uffici e negli spazi comuni - vegliano sui sessanta minori stranieri non accompagnati che animano il centro di via Chisimaio. «Sull’età mente il cinque per cento, forse – spiega Molinari –, e neppure per fare il furbo.
Accompagniamo i ragazzi nel percorso verso la maggior età, cercando di fornire una prospettiva alla loro esistenza. Ma al compimento del diciottesimo anno, lo Stato taglia i fondi: la carità cristiana mi impone di far proseguire la formazione a quei ragazzi che stanno per completare un percorso professionale. In quel caso siamo noi a farci carico delle spese».
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