L'isola deserta dell'adolescenza

Una caratteristica fondamentale delle tecnologie della comunicazione è quella di influenzarti anche se tu non ti senti coinvolto. Dire: “Non guardo la tivù” e pensare che in questo modo il mondo prodotto dalla televisione e dal suo sistema non ti riguardi, significa essere ingenui, se non peggio.

Lo stesso ragionamento va fatto per email, sms, whatsapp, facebook, twitter, blog, chat e quanto altro fa parte del sistema di comunicazione/relazione attualmente fondante il vissuto di un teenager e il suo universo immaginario. Anche se lo frequenta poco, o pochissimo, quello è il suo mondo.

In quel mondo (in questo mondo) non c'è bisogno che un aereo cada su un’isola deserta, come nel Signore delle mosche di William Golding, per lasciar scatenare tutta la crudeltà della pubertà e dell’adolescenza.

L’isola deserta è già qui, poiché il mondo istituito e vissuto per mezzo di questi sistemi di comunicazione (che sono le attuali forme di relazione interpersonale) è invisibile incontrollabile agli adulti e in particolare ai non nativi digitali.

All’insaputa di genitori, degli educatori, di parenti e vicini, di tutte quelle persone che completano il tessuto sociale dell'adolescente, su quell’isola deserta si consumano drammi e si perpetrano crimini, nella più assoluta innocenza.

Quando il ragazzino o la ragazzina ti dicono: «Tu non capisci», ti stanno dicendo la verità. Papà, mamma, zio, professore, rassegnatevi: voi non capite veramente. Che cosa non capite? Non riuscite a capire che in quell’isola deserta tutto è impunemente lecito.

Non potete capire che non c’è possibilità di difendersi o di reagire. I bei tempi del “muso duro”, dell’accapigliamento e della sfida aperta sono tramontati. Voi non potete capire cosa vuol dire veramente, quando entrate in classe e scoprite che tutti sanno che cosa è stato appena scritto di voi.

E voi sapete che tutti sanno. Lo sapete e lo percepite. Ma non potete né difendervi né accusare. Quando non è anonima, la presa in giro, la cattiveria, l'offesa è collettiva. Chi affrontare? A chi chiedere ragione della verità o della falsità, della crudeltà o dell'infamia?

Sull’isola deserta, seguendo il modello di serie che trionfano nei programmi televisivi dedicati ai ragazzi e nelle nicchie di internet, la personalità si mette in luce esibendo la capacità di colpire, di prevaricare, di essere più invadenti. E insisto su un particolare: lo si ritiene un comportamento generalmente “normale”.

Su quest'isola deserta dove i ragazzini possono liberare la loro crudeltà, esaltare l'egoismo e umiliare i più deboli (cosa molto naturale), dove gli adulti non possono nulla, soprattutto sul piano emotivo e dell'immagine di sé, si viene a creare una solitudine nuova.

Una solitudine che non ha nulla a che fare con l'attenzione dei genitori, la cura degli educatori, la mancanza di un'attività sportiva o ricreativa. Siamo sull'isola deserta, signori miei. Non manca il tuo amore, mamma, a tuo figlio o a tua figlia, bensì la relazione tra un mondo che tu puoi e uno che non puoi intercettare.

In un mondo puoi risolvere a parole, schiaffi, baci che hanno a che fare con cose, persone, gesti concreti e attribuibili a responsabilità personali.

In quell'altro mondo, nell’isola deserta, mille occhi (che non vedi) ti guardano, mille parole ti sfiorano, costruendo l'immagine di un “io” che ha la fragilità più grande che esista, quella di vedere spezzato il legame tra un gesto e la sua imputabilità, la parola e la responsabilità di chi la dice.

Sono nativi digitali, questi ragazzi, certo, nel senso che hanno pratica e confidenza “naturale” con determinati strumenti. Ma non ne hanno l'etica, non ne conoscono il pericolo.

Si tratta di una dimensione in cui allontanandosi dalla materialità, del faccia a faccia, del “muso duro”, la realtà non diventa più soft, ma più violenta, pervasiva, urticante.

Non sapendo i particolari, non vogliamo entrare nel dramma di cui oggi si parla, ma richiamare l'attenzione al più vasto teatro nel quale questo dramma si svolge.

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