L'ex procuratore Tosel: «Battisti entrò in cella a Udine per furto poi divenne terrorista-eversore»
Gian Paolo Tosel, l’illustre magistrato di Udine, ha perseguito in prima linea il terrorismo degli anni di piombo: "Ho incontrato personalmente l'ex Pac due volte in carcere"

«Ho incontrato personalmente due volte Cesare Battisti in carcere», ci racconta Gian Paolo Tosel, l’illustre magistrato di Udine, che ha perseguito in prima linea il terrorismo degli “anni di piombo”.
«Erano tempi difficili per la situazione carceraria qui, soprattutto per il sovraffollamento, dovuto alla presenza di delinquenti comuni e di rappresentanti della malavita organizzata e della eversione terroristica».
Perché era a Udine il laziale Battisti?
«Era entrato come delinquente comune, per furto e rapina, in un carcere considerato tra i migliori d’Italia, perché diretto dal maresciallo Santoro, uomo eccezionale. È stata la presenza poi di Arrigo Cavallina anche lui detenuto, cioè il fondatore dei Pac (Proletari armati per il comunismo), ad arruolare Battisti in questa organizzazione laterale alle Br, che invece era il nucleo principale del terrorismo. I Pac furono un fenomeno di pochi anni, con pochi adepti, e responsabile di cinque omicidi, numero molto inferiore a quelli attribuiti alle Br, oltre settanta».
Che idea si è fatto di Battisti?
«Ci tengo a precisare che ritengo il suo ingresso nei Pac come elemento di distinzione e di superiorità in ambiente carcerario. Egli entrò volontariamente nell’ala terroristica per distinguersi dagli altri».
Come lo ricorda?
«Trovandomi al fianco di Santoro per affrontare alcune problematiche relative all’ordine e alla sicurezza nel carcere, incontrai il Battisti. Ripensandoci a posteriori, lo ricordo con un atteggiamento di distacco quasi intellettuale nei confronti degli interlocutori, e che padroneggiava un linguaggio pseudocolto, volutamente superiore agli altri».
Dunque leader piuttosto che gregario?
«Sicuramente il passaggio da delinquente comune all’eversione armata lo portò a ricoprire una posizione privilegiata nell’ambiente carcerario».
Ampliando il discorso, si dice spesso che Udine e il Friuli siano stati le retrovie delle Br: lei che ne pensa?
«Logisticamente erano le retrovie, ma qui la colonna friulana delle Br è stata purtroppo fondamentale invece. Ricordiamo solo che Giuseppe Taliercio fu sequestrato e nascosto a Tricesimo; annotiamo anche che in quegli anni furono fatte riunioni di vertici Br in un covo cittadino. C’era una vera e propria colonna friulana, secessionista rispetto alla veneta, che sarà coprotagonista poi nel maxi-processo dell’aula bunker a Mestre, nel 1985, di oltre cento brigatisti».
Come considerare la sua esperienza antiterroristica del tempo per capire l’attuale?
«Irrilevante direi. All’epoca i terroristi organizzavano l’omicidio e anche la propria fuga, per cui era possibile predisporre linee concrete di difesa e protezione, oggi i terroristi si fanno esplodere insieme alla vittime. L’unico potente strumento rimasto è l’Intelligence».
Cosa rappresenta nella sua carriera quel periodo?
«Una parentesi di vita e di lavoro che mi ha coinvolto profondamente».
Ma che anni erano in generale quelli?
«Tempi convulsi quelli del post terremoto del ’76. C’erano una forte emotività e tensione tra l’opinione pubblica, il che spiega anche come alcuni terribili omicidi spesso senza colpevoli, come i barbari assassinii delle donne vittime del presunto Mostro di Udine siano entrati nello stesso clima teso e convulso di quegli anni». —
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