L’arcivescovo di Udine: "Quando tutto sarà finito dovremo essere pronti ad aiutare i poveri"
Monsignor Mazzocato: «È triste non poter celebrare la Pasqua con i fedeli. Questa pandemia diventi occasione per riscoprire cos’è essenziale»

Udine 24 Gennaio 2019. Messa giornalisti con il Vescovo. © Foto Petrussi
UDINE. Una Pasqua senza fedeli in Cattedrale. Una Pasqua celebrata nel silenzio della chiesa. Un silenzio che, però, deve portare a riflettere. Perché questa vita messa “in pausa” dal coronavirus diventi una occasione per riscoprire «ciò che è veramente essenziale per tutti, anche per la Chiesa».
E per volgere lo sguardo alle nuove povertà, a chi si trova senza lavoro o un pasto caldo da mangiare. Il rischio, infatti, è che l’emergenza sociale diventi ancora più grande nel dopo pandemia. Ed è allora che la società, come afferma l’arcivescovo di Udine, monsignor Andrea Bruno Mazzocato, dovrà essere veramente pronta alla solidarietà.
Eccellenza, con che animo ci si appresta alle celebrazioni della Santa Pasqua senza fedeli?
«Le celebrazioni saranno assicurate e trasmesse in radio e tv. Viviamo comunque in una situazione di sofferenza perché i fedeli non potranno essere partecipi dell’assemblea comunitaria. Vogliamo essere loro vicini attraverso la trasmissione delle celebrazioni liturgiche per consentire a tutti di partecipare con attenzione e con la preghiera. I momenti devozionali, come la processione del Venerdì Santo, sono invece stati sospesi».
Che sensazione ha provato a celebrare la messa in una chiesa vuota, circondato dal silenzio?
«Certamente da una parte un senso di povertà, intesa come “spogliazione”, dall’altro mi ha invitato ad avere una maggiore concentrazione. Ho ricevuto tanti riscontri da parte di persone che vivono all’Estero, anche negli Stati Uniti, e che hanno ascoltato con attenzione le mie parole. Si ha così la percezione che esiste una comunità che rischia di essere considerata solo come “virtuale”, ma che in realtà è anche spirituale».
C’è il rischio che l’impossibilità di partecipare alle celebrazioni possa portare a una perdita della fede?
«Questo potrà essere verificato dopo. Da una parte ho visto attivarsi tanti modi per restare in contatto e questo fermento dimostra che in molte persone c’è una forte sensibilità spirituale. Dall’altra, certo, potrebbe esserci il rischio che a questa comunione virtuale non ne corrisponda una reale. Credo però che adesso sia molto difficile prevedere il dopo coronavirus, noi cerchiamo di vivere in modo più intenso possibile i momenti di preghiera e, in generale, il presente».
Con la sospensione delle messe, anche la Chiesa si è dovuta adeguare a questa emergenza diventando di fatto più tecnologica...
«Assolutamente, è stata una grande sfida per me per primo che ho scoperto le videochiamate su Whatsapp con cui telefono agli altri tre vescovi della regione. Siamo in contatto costante tramite mail, internet e tutti i supporto tecnologici con almeno il 95 per cento dei sacerdoti e abbiamo raccolto oltre 7 mila indirizzi tra laici, catechisti, operatori a cui invio le mie lettere per restare loro vicino, anche se da lontano».
Cosa può rispondere alle tante persone che si interrogano e chiedono: perché è successo tutto questo?
«È una domanda spontanea che c’è dentro le persone perché questo virus sta destabilizzando il mondo, smonta le strutture moderne, l’economia, rischia di smontare l’Europa e ha messo in forte crisi gli Stati Uniti. Questo porta a chiederci: cosa sta succedendo? Da un punto di vista cristiano, senza pretendere di avere delle risposte esaurienti, rispondo facendo riferimento ai grandi profeti dell’Antico Testamento che davanti a un popolo stravolto da tragedie, conquiste e deportazioni dissero: “Convertitevi” che vuol dire svegliatevi, ritrovate l’essenziale e purificatevi da certi modi di vivere che non portano a nulla di positivo».
Quindi il coronavirus può essere un’occasione per “risvegliarci”?
«Può rappresentare uno scossone fortissimo che deve interrogare le coscienze e portarci a guardare i percorsi che avevamo intrapreso per riconsiderarli. E questo vale anche per la Chiesa».
Quindi anche la Chiesa ha bisogno di questa scossa?
«Sì è necessaria perché il rischio è di non accorgersi di quanto sia profonda la crisi della fede iniziata alla fine del Settecento. Il contrario della fede non è l’ateismo ma è l’idolatria. O il tesoro è il vero Dio o è qualcos’altro che adoriamo. E trovare l’idolatria nel mondo contemporaneo non è difficile, non bisogna far diventare un idolo quello che è un mezzo. Al tempo dei profeti gli idoli non erano il denaro o i conti in banca, li costruivano con le loro mani e Geremia disse che ciò non era dignitoso per l’uomo. L’emergenza può essere una occasione di purificazione importante».
E a chi parla di castigo divino cosa risponde?
«Non è un castigo diretto di Dio, piuttosto è il male che ha delle conseguenze gravi. Alcune le possiamo misurare, altre sfuggono anche a noi. E per male intendo l’agire male: questo ha effetti molto gravi quindi più che diretto castigo di Dio potremmo dire che il male ha delle sue conseguenze».
Il virus ha aggiunto dolore alla perdita dei propri cari impedendo ai familiari di salutarli un’ultima volta. Come si riesce a sopperire a tutto questo?
«Il virus ci ha messo in una condizione di prova nel morire, che è già la prova delle prove. Ora per i familiari è diventata ancora più difficile. Nelle parrocchie, nel rispetto delle normative vigenti, cerchiamo di vivere la condivisione della sofferenza e un momento di spiritualità perchè non venga meno la dignità del morire».
Qual è il suo messaggio per la Pasqua?
«In questo momento di sofferenza non servono auguri di circostanza. Gesù risorge con le ferite della sua passione nel corpo, quelle del male diventate luminose dopo la Resurrezione. Chi vive segnando il suo corpo con la carità vive già la vita eterna. Penso al volto di Madre Teresa di Calcutta ricamato di rughe, quelle rughe raccontavano le sofferenze che aveva affrontato con la carità di Gesù nel cuore, e quel volto è diventato luminoso. Il mio messaggio è che la vita è vera se ci si fa “colpire” dalle ferite dell’amore».
Con la pandemia le persone sole lo sono diventate ancora di più e ci sono molti nuovi poveri. Come affronterà la Chiesa questa emergenza?
«Adesso tramite le Caritas regionali siamo al lavoro per assistere un maggior numero di persone e c’è stato un grande risveglio di generosità tra le persone. Quando tutto finirà ci saranno altre prove da affrontare, ancora più grandi. In primis quella di una grande solidarietà per far fronte a tutti coloro che si troveranno in una situazione di povertà».
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