La storia della Safau: tutto è cominciato nel 1882 grazie al viennese Neufeld e all’udinese Orter

UDINE. Finito il lavoro, tutti andavano a bere un taglietto all’osteria Ai tre musoni, lungo via Marsala, fondata dalla famiglia Marzano che era salita a Udine dalle Puglie per commerciare il vino. Era intitolata così per i mascheroni di tre uomini corrucciati, scolpiti in un pannello di legno: uno asiatico, uno europeo e uno africano.
Erano le caricature dei tre fratelli Marzano, già effigiati alla base del vicino campanile. L’osteria è stata un luogo di incontro e ricreazione per gli operai prima delle Ferriere e poi della Safau, industrie siderurgiche che avevano in via Calatafimi lo scalo ferroviario e in via Castelfidardo un campo di calcio dove vigevano le sfide con le squadre dei ferrovieri della vicina stazione.
Piccoli frammenti di un “amarcord” all’udinese che ancora galleggiano attorno a capannoni vuoti e decrepiti e alle strutture metalliche di una fabbrica che ha dato lavoro e garanzie a tante famiglie, rappresentando assieme alle Officine Bertoli l’ossatura industriale più importante in una città per il resto votata al commercio e al ruolo di immensa caserma, almeno fino a qualche decennio fa. Ora, sui resti di una grande storia, aleggiano programmi di riscoperta e presa di coscienza, com’è stato annunciato dal Comune. C’è un’enorme area abbandonata che attende un po’ di giustizia, come da anni stanno ripetendo gli ex dipendenti raccolti nell’associazione “Amis de Safau”.
Tutto cominciò (come si apprende scorrendo i ricordi del giornalista Luciano Provini nel libro “Una vita a Udine”) nel 1882 quando l’ingegnere viennese Karl Neufeld, proprietario di una ferriera ad Aosta, e l’udinese Francesco Orter, titolare di una ferramenta in piazza San Cristoforo, fondarono le Ferriere dando lavoro a inizio Novecento a 750 operai, impegnati in turni di 12 ore al giorno. Solo alcuni anni dopo tutto si umanizzò grazie al nuovo direttore, un ingegnere stiriano di origini norvegesi, Giovanni Sendresen, che si guadagnò la stima di dipendenti e della città intera avviando iniziative come la Società di mutuo soccorso e la Società udinese di ginnastica. Gli azionisti delle Ferriere erano in gran parte austriaci, per cui, dopo la Grande Guerra, misero in liquidazione la società, acquisita dalle Acciaierie di Venezia.
Parte dello stabilimento passò poi nel ’42 alla Safau (Società per azioni Ferriere e Acciaierie di Udine), che fece un salto di qualità nel secondo dopoguerra, sotto la direzione dell’ingegner Giovanni Battista Rizzani, inaugurando il 23 febbraio 1951, dunque 70 anni fa, il modernissimo forno Martin-Siemens, ormai l’unico a essere conservato in Italia e utilizzato fino all’agosto del 1975. Insomma, un esemplare da archeologia industriale attorno al quale più volte si è immaginato di creare un museo del lavoro. Per completare la storia va detto che nel 1988 ci fu la fusione delle due grandi aziende siderurgiche cittadine, che formarono l’Abs, ovvero Acciaierie Bertoli Safau, con l’apertura dello stabilimento di Cargnacco, di proprietà del gruppo Danieli.
Tracce di quel mondo resistono nell’ampia malinconica area dismessa e in certe architetture d’effetto, come la palazzina degli ex uffici delle Ferriere, davanti all’osteria dei Musoni, lo scalo lì vicino e la villa Stucky, in stile liberty, progettata dall’architetto Cesare Scoccimarro. Per il resto bisogna affidarsi al racconto di chi lavorò dentro la fabbrica, come Bruzio Bisignano, che partendo dalla memoria ha intrecciato un progetto e uno spettacolo teatrale su siderurgia e dintorni. Titolo: “Ocjo”.
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