La signorina in pietra nel giardino del magico palazzo

Nani, papere, garofani. E in più una signorina in pietra tutta sola. Ecco cosa c'è - e cosa non c'è più- all'interno del cortile del nostro palazzo, Valvason-Morpurgo, dove continuiamo a passeggiare...
ANTEPRIMA palazzo morpurgo fotografato con una focale di 17 mm.
ANTEPRIMA palazzo morpurgo fotografato con una focale di 17 mm.

Nani, papere, garofani. E in più una signorina in pietra tutta sola. Ecco cosa c'è - e cosa non c'è più- all'interno del cortile del nostro palazzo, Valvason-Morpurgo, dove continuiamo a passeggiare dopo la puntata della settimana scorsa.

I nani, prima di tutto. C'erano, erano due e, come dice il professor Bergamini nel ripercorrere la storia artistica del sito: «Erano di pietra e nel Settecento quando il palazzo apparteneva ai Sarmede facevano bella mostra di sé nel cortile». Nella stima del palazzo e degli arredi, datata 1784, conservata nell'archivio Torriani in Biblioteca civica, troviamo notizia che questi due nani furono valutati 180 lire. La stessa cifra era attribuita in questa stima anche ai dipinti che ornano le cassepanche ai due lati dell'ingresso da via Savorgnana. E chi li aveva mai notati? Uno cammina veloce per spostarsi da via Savorgnana in piazza Duomo, ed è ben contento di attraversare il giardino che trova davanti pensando: finalmente una scorciatoia (stessa cosa capita nel garage Aci che collega via Cussignacco a via Crispi, quanti ci passano, felici della frizzante furberia), ed ecco che invece si trova davanti a papere e garofani, appunto.

Garofani bianchi e rossi in due tonde fioriere di terracotta, stile campagna toscana, due papere che starnazzano allegre in una vasca dove scorre acqua, sputata da due bitorzoluti mascheroni. Ai lati due prati fioriti e in fondo una quinta di alberi, finti, stile paesaggio metafisico novecentesco, con quattro statue e una colonna dal capo mozzato. Ma quanta roba c'è in un dipinto? (E tanta ne ho tralasciata).

Questo è quanto è contenuto in uno dei due magnifici schienali a muro conservati sotto il portico del nostro palazzo, dove tra l'altro troviamo, poco prima di arrivare in cortile, davanti a noi, anche un'imponente travatura a vista con "passalizio", cioè ponte di legno che unisce due parti della casa. E' l'unico esempio del genere a Udine, come ci racconta il professor Giuseppe Bergamini, che nella sua carriera di storico dell'arte ha aperto tutte le porte delle dimore cittadine.

Bene. Questo accurato paesaggio virtuale contenuto nello schienale della panca, e mai notato, perlomeno da me, spesso persa dentro una corsa ad ostacoli nella ricerca della puntualità, è un bel raccordo con un altro paesaggio che è altrettanto virtuale, anche se nel ricordo, semplicemente perché non c'è più. Il tempo l'ha spazzato via. Era "il giardino di gusto architettonico", come dicono gli studiosi, che oltre il cortile e la terrazza con gli archi e le colonne binarie, e le statue delle stagioni sopra la nostra testa, e un tempo anche un muro di chiusura, faceva "bella mostra di sé", come chioserebbe l'appena nominato specialista. E' quel giardino che vive dentro le foto novecentesche di Pignat e Brisighelli, (e Carlo Someda de Marco e lo stesso Enrico Morpurgo), sia nella versione con neve che quella estiva, un secolo e mezzo dopo l'entrata in scena delle due panche, che furono dipinte verso il 1770.

Il riassestamento del giardino in chiave romantica di fine Ottocento evidenzia la volontà raffinata di quei colti proprietari, i Morpurgo, che acquistarono non solo l'area del palazzo, ma pian piano anche tutto l'intorno e, come ho già detto, donarono la loro dimora alla città nel 1969.

E' difficile raccontare tutto il movimento che coinvolge questa parte centralissima di Udine dagli inizi del Novecento in poi. L'hanno fatto magnificamente Licia e Massimo Asquini, storici dell'architettura. Certo è che sono in molti a passeggiare in piazzetta Belloni e zone limitrofe (l'antico lotto gotico "calle Bellona"), e a non avere il sospetto che quel luogo, cento anni fa o quasi, conteneva un teatro, il Nazionale, esistente dal 1867 al 1906. Ancora prima c'erano dei grandi orti, geometrici, "gli orti Alpruni e Benvenuti", e che addirittura nel 1911 si era pensato per questo posto a una galleria in ferro e vetro per "pattinaggio e feste". E sapete qual era l'autorevole autore? Raimondo D'Aronco.

Ciò che fa sorridere è che quel disegno, proprio quello, insieme a tanti altri, è conservato, come sentinella cartacea dell'invisibile, non molto distante da dove doveva sorgere. E' presente nel fondo D'Aronco dentro le Gallerie del Progetto, le custodi dell'ultimo piano del palazzo Valvason-Morpurgo.

E alla narrazione si aggiunge questo tassello di raccordo. Presa dalla fretta, ho attraversato più e più volte maldestramente il giardino, meglio ciò che resta del giardino, e mi sono imbattuta in lei: la signorina in pietra tutta sola. E' lei o non è lei? Quando la nostra rubrica, mesi fa, si era occupata dell'Expo del 1903, ovvero la grande Esposizione che a Udine in via Dante-ex Braida Arcoloniani-Piazza Garibaldi seguiva di un anno quella più famosa di Torino del 1902, sempre a firma D'Aronco, avevo tenuto in testa una foto di Brisighelli di uno dei pochi padiglioni poi effettivamente realizzati, il principale, e c'era lei: la signorina in questione, flessuosa in mezzo a una fontana.

Nominiamola: è la Ninfa dello scultore gemonese Leonardo Liso, dentro la fontana in pietra artificiale, realizzata dalla ditta Tonini di Udine, azienda che compare in un altro Genius loci del passato, attraverso le teste Liberty, sempre dell'Expo 1903, conservate nel giardino di Pietro Adami Tonini. Vi ricordate? Questa Ninfa sarà una copia mi dico, e invece no. E' proprio l'originale, e anche recentemente restaurata (si noti il braccio destro ortopedicamente sistemato). E' lì quasi sin dall'inizio della "gestione Morpurgo". Il senatore Elio Morpurgo fu tra i promotori dell'Expo 1903, la ditta Tonini una delle aziende maggiormente coinvolte nel restauro di questo palazzo, per cui uno più uno fa...

Ciò che fa sorridere è che il progetto firmato da D'Aronco di quel padiglione dell'Expo 1903 non è molto lontano. Alzate gli occhi: è lassù che dorme all'ultimo piano.

Elena Commessatti

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