La Procura: disarmati senza le intercettazioni
A Udine si contano circa 300 “bersagli” l’anno, per lo più in materia di droga e prostituzione
Aspetta di leggere la nuova normativa sulle intercettazioni, ma fa subito intuire che per molti reati gravi «ci sarà l’impossibilità di procedere». È cauto il Procuratore della Repubblica di Udine Antonio Biancardi, nel senso che non si sbilancia sulle scelte politiche, ma è chiaro nel far capire che molte indagini non potranno decollare senza questo strumento investigativo. «Non posso fare apprezzamenti in questo momento – dice – leggerò la normativa definitiva e poi vedremo». L’utilizzo. Su circa 35 mila notizie di reato che la procura di Udine tratta in dodici mesi, negli ultimi anni si è registrata una media di “soltanto” 300 intercettazioni, fra telefoniche e ambientali. Si utilizzano soprattutto per combattere i reati in materia di droga, ma anche per prostituzione, armi, rapine e in qualche caso pubblica amministrazione. Le circa trecento utenze l’anno intercettate non rappresentano altrettante persone, perché spesso – per esempio per il trafficante di droga – un indagato risulta possedere più utenze, specie quelle dei telefoni cellulari. La spesa. Questo è uno degli aspetti del “problema” che si intende affrontare politicamente. Nel 2005 Udine aveva speso poco meno d’un milione 300 mila euro. L’anno dopo la cifra subiva una diminuzione soltanto perché per alcuni mesi – con il decreto Bersani – i pagamenti erano stati congelati. Già dall’anno scorso il ministero aveva ordinato una “stretta” che però non riguardava espressamente una richiesta di utilizzo più parsimoniosa. Semplicemente, tramite una licitazione privata, anche a Udine era cambiato il sistema: la ditta di Trieste Innova era individuata con una ricerca di mercato e dall’aprile dell’anno scorso, nella saletta all’ultimo piano della procura, tutte le forze dell’ordine hanno potuto concentrare il loro lavoro di ascolto, appunto facendo risparmiare molto. La media udinese di 2 mila euro a “bersaglio”, anche per il 2007, è stata quindi in linea con quella nazionale che si aggira sui 1.800 euro. Il sistema. È il pubblico ministero titolare dell’inchiesta a chiedere al Giudice per le indagini preliminari il decreto autorizzativo, che nei casi “urgenti” (per esempio gli omicidi) si pronuncia in brevissimo tempo. In genere il telefono si intercetta per 15 giorni, prorogabili anche per mesi se l’inchiesta lo richiede. In prima battuta, salvo i casi urgenti, la polizia giudiziaria riferisce al pm anche quotidianamente se l’inchiesta è nella fase topica: per esempio per un carico d’armi o droga, dove va deciso se intervenire subito con gli uomini. In questa fase topica è possibile anche l’ascolto 24 ore al giorno, altrimenti carabinieri, polizia e finanza possono riascoltare i nastri in orario giornaliero; quindi a seconda delle esigenze. La prassi dell’intercettazione, dopo l’ok del giudice, è quella di chiedere al gestore telefonico il “contatto”. Un tempo esisteva il cosiddetto traslatore, adesso l’input è digitale e quindi la telefonata arriva agli uffici della procura. Dopo l’ascolto e la registrazione la pg scrive il brogliaccio, integrale se importante, spesso con omissis che non si ritengono rilevanti. Quindi le trascrizioni, che diventano indizio utilizzabile in fase investigativa e possono confluire nelle richieste di misura cautelare o nella semplice comunicazione della notizia di reato che di fatto apre il procedimento.
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