La famiglia Dorbolò, l'amore per la gubana e quel dolce che dal '400 è simbolo identitario di una terra

Un tempo lusso di famiglia riservato alle grandi feste, nonostante la semplicità, quasi povertà, dei suoi ingredienti; oggi prodotto di nicchia eppure “massivo”, simbolo identitario di un bacino ampio che all’area valligiana, terra madre, affianca Cividale e che di quella specialità dolciaria, fino a metà Novecento esclusivamente casalinga, ora prodotta su larga scala, ha fatto uno dei suoi punti di forza.

La gubana è più di un dolce. È eco di tradizione, anzi di storia – la prima attestazione documentale rimanda al 1409, quando il rotolone farcito con impasto a base di frutta secca, noci in testa, s’inserì fra le 72 vivande servite a papa Gregorio XII, nella città ducale –, è vanto, è strumento di rivalsa per una zona che ha patito gli effetti della marginalità geografica e che da decenni sta faticosamente cercando di trovare un nuovo equilibrio, per frenare l’inesorabile spopolamento.

È una sorta di bandiera, insomma: non per caso, ma grazie all’intuizione di chi – Franco Dorbolò e famiglia in primis – capì che proprio sulla “chiocciola” ripiena preparata nell’entroterra cividalese per Natale, Pasqua e riti nuziali si poteva puntare per promuovere le vallate del Natisone, per farne viaggiare il nome in tutta la regione e ben oltre.

La ditta Dorbolò e le altre specializzate nella produzione di gubane e strucchi hanno dato il via al processo, decenni fa; iniziative più recenti, ma comunque ormai radicate, hanno completato l’opera promozionale, facendo centro fin dal debutto: è il caso della gubana da guinness realizzata ogni primo gennaio (salvo quello del 2021, per ovvi motivi) dal panificio cividalese Cattarossi, che di edizione in edizione supera se stesso sfornando un colosso di dimensioni superiori al precedente, e del concorso Gubana day-Premio Bepi Tosolini, che ha conferito alla gloria dolciaria di casa una notorietà internazionale.—



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