La fabbrica del suono nata nel garage di casa che attira musicisti da tutto il mondo

TAVAGNACCO. In gergo si chiama “ingegnere del suono”. Ma lui preferisce definirsi “artigiano del suono”. Un storia iniziata rifiutando in regalo il motorino. Al suo posto Stefano Amerio, classe 1967, di Cavalicco, ha chiesto una tastiera elettronica. E mamma e papà lo hanno accontentato.
Erano gli inizi degli anni Ottanta. Allora frequentava il Malignani e per diletto suonava con gli amici. Le prove nel garage di casa e poi a far sul serio nelle feste. Da lì al realizzare qualche base musicale per diletto il passo è stato breve. «In qualche modo la musica ha sempre fatto parte della mia vita».
Durante l’infanzia – tra tutti gli strumenti giocattolo anche il vero mangiadischi Lesa Mady, quello arancione a pile, regalo di mamma Vittorina –, come nell’adolescenza. Era poco più che bambino quando per 5 anni, «senza troppa convinzione», ammette, ha studiato pianoforte. Poi il diploma e il militare.
E quell’idea che da tempo gli balenava in testa. Aprire uno studio di registrazione tutto suo. Era il 1990. Lui, una formazione da perito edile alle spalle, ha fatto tutto da solo. O quasi. Quasi, perché il primo a dargli fiducia – «a termine» – e soprattutto 12 milioni 650 mila lire, è stato papà Alberto.
«Mi ha detto: hai tempo un anno. Se non funziona, rivendi tutto e vai a lavorare». In quegli anni era difficile pensare che si potesse vivere di musica, soprattutto in Friuli. Invece Stefano ci è riuscito. E nel giro di poco quel prestito è stato reso a papà. «Con gli interessi», sorride.
L’inizio della sua storia è nel garage di casa – 16 metri quadrati – , con un mixer e un registratore a otto tracce. «Allora impazzava la musica elettronica, c’erano diversi studi in giro, ma io ero l’unico ad avere molte tastiere elettroniche», spiega. Alla sua porta cominciano a bussare in tanti: in quel tempo per lo più gruppi locali amatoriali. «Ma in quei 16 metri quadrati ci entravo a malapena io».
La soluzione? Una prolunga multicavo fino allo scantinato di casa. «Quattro metri più in là». La dispensa, l’officina di papà… tutti spazi che Stefano ha rosicchiato metro dopo metro per farne lo studio di oggi.
Sì, perché il ragazzo di Cavalicco da quei 16 metri quadrati in poi, ha fatto sul serio. In breve diventa punto di riferimento dei cantautori friulani, da Lino Straulino a Gigi Maieron grazie al produttore Valter Colle.
Intanto mette pure insieme un team di produzione di musica dance: la «L.W.S. production» – dal 1993 al 1998 –, che sta per Leonardo, Walter, «due amici conosciuti durante il militare», e lui, Stefano. Il team firma pezzi di successo, vende 250 mila copie in Inghilterra, vince il disco d’argento e schizza al primo posto delle “dance chart” in Francia.
Parentesi: i tre amici si ritrovano nel 2017. C’è da firmare un nuovo contratto perché una nuova casa discografica ha rimesso in circolazione proprio quei brani.
Poi nel 1998 nasce «Artesuono Produzioni», la sua etichetta discografica – è stata la prima friulana distribuita su iTunes di Apple – che si appresta a festeggiare i suoi primi 20 anni con un incontro inserito nell’ambito di Udine Jazz 2018: il 3 luglio, martedì, alle 18, al Teatro Palamostre di Udine, Stefano racconterà questa storia insieme con gli amici di sempre: Glauco Venier, U. T. Gandhi, Luca D’Agostino che ha fotografato gran parte delle sessioni di registrazione, Ermanno Basso di Cam Jazz e Fabio Turchini in qualità di narratore.
Ma torniamo un passo indietro: tutto quel successo con la L.W.S. spinge Stefano, l’unico dei tre che suona, a perfezionarsi alle tastiere. Serve qualche lezione. È allora che bussa alla porta di Glauco Venier.
È la svolta. Il caso vuole che a Venier serva un fonico per la registrazione del suo album «L’insiùm», da realizzare negli studi di Radio Capodistria. Stefano è titubante, non sa niente di jazz. «Il mio campo è sempre stato il mondo del pop/rock. Ma accettai e andò tutto bene».
Era il 1996. Da lì in avanti Stefano diventa l’uomo che cattura i suoni dei più grandi jazzisti d’Europa. Basti pensare che in media a Cavalicco ogni anno arrivano qualcosa come 800 musicisti. E proprio da sotto casa degli Amerio sono usciti quasi 2 mila dischi registrati.
Una media di due a settimana. Nel 2016, 80 e ben 91 nel 2017. Dopo Venier è arrivato U.T. Gandhi. È stato lui a fargli conoscere Enrico Rava.
Oggi di casa a Cavalicco, insieme a Manfred Eicher, il guru della musica jazz a livello mondiale. Padre della prestigiosa etichetta tedesca ECM. Stefano in breve diventa il suo braccio destro, punto di riferimento per molte delle sue produzioni. Fa la spola tra Lugano, Monaco di Baviera, dove ha sede l’ECM, e Cavalicco.
L’attuale sede inizia ad essere troppo piccola per i tanti jazzisti che bussano alla porta. «Mi dovrò spostare», spiega. «Ma resto comunque a Cavalicco».
In questa piccola borgata in cui tutti si conoscono e che grazie a Stefano è diventata la capitale europea per i grandi – musicisti e blasonate etichette – del jazz. «Non c’è lavoro o produzione senza il nome del mio paese stampato».
Un nome che ha esportato dappertutto grazie a quella sensibilità – un fiuto «forse innato», messo a punto da autodidatta – nel saper interpretare al meglio, spesso senza bisogno di parlare, le note degli artisti. Artisti ormai di casa a Cavalicco, come Paolo Fresu, Stefano Bollani, Omar Sosa, Ralph Towner, Carla Bley, Dominic Miller, Gary Peacock, ed i compianti Kenny Wheeler e John Taylor.
Ma anche Vinicio Capossela, i Simply Red, Ultranatè, Tony Hadley degli Spandau Ballet, molti dei nostri artisti regionali e case discografiche come Cam Jazz, Act, Universal, Sony, Tuk Records, Skipp Records. Stefano in questi anni – nel 2020 saranno 30 dalla nascita dello studio – ha catturato anche i suoni di Elisa, Antonella Ruggiero, Alice, Celentano e degli 883, tanto per citarne alcuni.
E chi arriva a Cavalicco non trova solo il signore dei suoni davanti a quell’astronave – in gergo mixer a 78 canali, due metri e mezzo di lunghezza e centinaia di pulsanti e manopole –, che lui «pilota» con tanta disinvoltura. Trova anche un ambiente familiare, contesto ideale per chi deve registrare.
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