La criminologa: «Realtà sociale Genitori-prof binomio cruciale»

UDINE. «Il bullismo in questo momento è purtroppo una realtà sociale. Finora è stato confuso con la semplice ragazzata, uno screzio tra giovani. Eh no, il bullismo è qualcosa di diverso dalla conflittualità tra coetanei, differente anche dagli episodi di violenza che possono accadere in una comunità. È non una violenza estemporanea, ma una forma di violenza che continua nel tempo, una persecuzione vera e propria e spesso paragonata al mobbing nel mondo del lavoro».
Parola della criminologa Angelica Giancola, specializzata in psicologia giuridica.
La cronaca ci riporta in pieno nel fenomeno...
«È importante dire che il bullismo arriva a distruggere una persona. È una violenza perpetrata nel tempo, dalla quotidianità a una persecuzione vera e propria che va a influenzare la vita di una persona. Mentre il bullismo colpisce il ragazzo nelle ore scolastiche, c’è il problema del cyberbullismo a tutte le ore del giorno e della notte. I “social” pubblicano immagini che hanno una velocità immediata. L’aggressività del cyberbullismo è data dal fatto che, mancando il rapporto a tu per tu, vengono meno tutte le inibizioni, si perdono i “freni”, si porta la persona all’esasperazione e alla depressione con le conseguenze del caso».
Fenomeno in espansione?
«Assolutamente sì, sempre di più, tant’è che adesso il ministero degli Interni ne ha avuto consapevolezza istituendo il numero verde 43002 per la prevenzione e il contrasto degli stupefacenti, ma anche per i fenomeni di bullismo».

L’età del bullo cala?
«Sì. Le prime manifestazioni si intravvendono già alla scuola materna. Qui l’intervento del criminologo è quello di insegnare ai bambini l’empatia, cioè il mettersi nei panni degli altri, il rispetto delle regole, la condivisione delle idee come gioco. Cominciamo a operare dai 7 anni con le fasce 7-14 e 14-16: la persona va educata entro questo “range”. È stato dimostrato che se non viene rieducata entro i 23 anni, collezionerà fino a 4 condanne penali. Il bullo stesso ha bisogno di aiuto tanto quanto la vittima, il suo non è un atteggiamento normale».
Definisca un bullo.
«Molto spesso è vittima di sè, specie il bullo dominante. È il leader rispetto al gregario, prende l’iniziativa e impartisce ordini e mette in atto le prevaricazioni; normalmente è un soggetto più forte degli altri, con forte bisogno di dominio, autoaffermazione, molto spesso prova una grande soddisfazione nel sottomettere, controllare e umiliare gli altri. In genere è molto impulsivo, irascibile, ha difficoltà nell’autocontrollo e una scarsissima capacità di empatia; non mostra sensi di colpa».
Un esempio?
«Mi è capitato di avere a che fare con bulli che giustificano i comportamenti dicendo che le vittime meritavano d’esser trattate così. Il bullo ha un’autostima molto alta, perché deve far breccia sul branco, sui gregari, sugli spettatori. Il classico “figo” della situazione».
Gregari?
«Già. Bulli gregari o passivi: appoggiano il leader ma solitamente non prendono l’iniziativa. In gruppo gravitano attorno al dominante, ma intervengono rafforzando il suo comportamento eseguendo i suoi ordini. Di questi passivi una buona percentuale l’abbiamo identificata: sono ansiosi, per noi i più semplici da individuare, perché caratterizzati da una instabilità emotiva. In genere non sono molto amichevoli e quindi lo diventano per paura di essere presi di mira loro stessi, per essere accettati».
E come agite?
«Con l’intervento di un adulto si riesce a fargli scattare il senso di colpa e quindi a farlo smettere. Il bullo da solo si smonta in tre secondi; continua a esserlo finché c’è il gruppo che gli gravita attorno».
La famiglia conta?
«Importante è la collaborazione scuola-famiglia. Il ragazzo passa a scuola molte ore della giornata e gli insegnanti sono i primi ad accorgersi di determinate dinamiche. Succede che la scuola informa e questo non viene recepito. Questi ragazzi devono essere aiutati, perché gli insegnanti da soli non ce la possono fare. Serve un lavoro in team: creare sportelli per esempio anche in modo anonimo. Adottiamo strategie lavorando assieme a un terapeuta».
Con quali tecniche quindi?
«Va molto il “role playing” facendo recitare i ragazzi invertendo i ruoli: chiamo la vittima dicendo di essere aggressivo verso il bullo. La prima reazione è un “no”. Succede che il bullo aggredito, per esempio “dammi la tua merenda”, quando si sente minacciato, vede che c’è una ruota di ragazzi che gli dà addosso e lì comincia per lui una sorta di disorientamento: scatta l’empatia. Messo nei panni della persona che colpisce, il bullo reagisce disorientato. A lungo andare si radica nella personalità. Tanti stalker erano bulli».
Forme sempre esistite?
«Certo, non è un fenomeno statico. Si evolve con la società. Ora crea maggiori danni: c’è meno rispetto nei confronti di tutti. Prima il ragazzo temeva l’insegnante e il genitore non aggrediva subito il prof, dava la colpa al figlio. Oggi i ragazzi non hanno paura di niente, ci sono famiglie iperprotettive. Il bullo è aggressivo anche a casa, con eventuali fratelli, ma anche con i genitori; non rispetta le regole».
La legge vi aiuta?
«Mi piacerebbe che il fenomeno bullismo fosse concepito come un reato. Ora tutto è singolarmente giudicato con i reati più diversi come lesioni, ingiurie, percosse, diffamazione, danneggiamento, minaccia. Poi va svolta formazione in scuole e famiglie con interventi costanti, potendo lavorare con i ragazzi in classe, cercando di isolare i casi».
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