Ispadue, c’è lo spettro della chiusura

SESTO AL REGHENA. La proprietà, che lunedì siederà al tavolo con i sindacati in Prefettura, ancora non ha riferito quando riprenderanno le attività: aumenta la tensione tra i 200 lavoratori della Ispadue di Sesto al Reghena, ormai in presidio permanente davanti allo stabilimento, tra i timori per il futuro di fronte agli atteggiamenti dell’azienda.
Ieri è cambiato, rispetto a giovedì, soltanto il luogo: dai cancelli del piazzale dei camion, i dipendenti (compresi quadri e impiegati) si sono spostati davanti agli uffici, lungo via Giotto di Bondone. Si sono organizzati su tre turni, quelli della giornata lavorativa. E lì rimarranno almeno fino a lunedì, quando davanti al prefetto, Pierfrancesco Galante, siederà una rappresentanza dell’azienda e i sindacati.
Questi ultimi ieri hanno incontrato Galante, ponendolo di fronte a quanto accaduto negli ultimi giorni. Giovedì l’azienda ha sospeso l’attività, con una lettera ai lavoratori del turno pomeridiano, invitati a lasciare lo stabilimento. Le ragioni dell’azienda, carpite come una “presa in giro” da sindacati e lavoratori, sono state la «non sostenibile situazione del mercato di riferimento» e «l’alluvione» di alcuni giorni prima, che avrebbe danneggiato parte della produzione. Si è prospettato anche un possibile ritardo dello stipendio di aprile. Ma fino a quella mattina si era continuato a produrre.
Difatti, la crisi, per i sindacati, non esiste alla Ispadue, che continuerebbe a registrare importanti fatturati. Invece, si teme ormai un disimpegno della proprietà nell’ottica del «non si guadagna abbastanza». Lo sciopero di 4 ore di mercoledì, in cui si chiamava in causa anche la prospettata diminuzione dei premi di risultato, voleva sollecitare impegni da parte dell’azienda per il futuro. Invece, giovedì pomeriggio, è giunta quella lettera. I rappresentanti dell’Ispadue, convocati dal prefetto, si troveranno al suo tavolo con i sindacati lunedì mattina.
«Ancora una volta è in gioco il tessuto manifatturiero regionale e il prefetto l’ha compreso – ha rilevato Ezio Tesan (Uilm) –. I camion ieri continuavano ad arrivare per lo scarico delle materie prime: la proprietà non ha nemmeno avvisato i fornitori della chiusura e da un lato ciò ci fa ben sperare (significa che la crisi non c’è) dall’altro ci fa comprendere che alla base della sospensione dell’attività c’erano delle scuse».
«La minaccia è diventata realtà, i salari di aprile non sono ancora stati pagati – ha riferito Denis Dalla Libera (Fim) –. Chiediamo alle istituzioni, Regione in testa, che aprano un tavolo con l’azienda. Qui i lavoratori hanno sempre fatto sacrifici, mentre l’azienda ha bloccato la produzione con una decisione unilaterale e illegittima, come pressione su di loro. La cosa più assurda e grave è che nessuno della proprietà si è fatto vedere o sentire». «Il presidio dei lavoratori – ha aggiunto Bruno Bazzo (Fiom) – è solo una risposta alla loro messa in libertà. I lavoratori non possono essere trattati così, vanno rispettati».
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