«Io, supplente trans accolto bene in classe»

CERVIGNANO. La sua presenza a scuola, ieri mattina, non è passata inosservata: ha scelto di non nascondere la parte femminile che c’è in lui e si è presentato in classe con un velo di rossetto rosa, la matita nera per “disegnare” lo sguardo, la pelle incipriata, la borsetta e un vistoso paio di orecchini.
Curiosità, qualche sorriso di circostanza e anche, da parte di qualcuno, un po’ di imbarazzo.
Michele Romeo, 39 anni, originario della provincia di Taranto, ma residente a Trieste da 5 anni, sposato, una laurea in fisica teorica e un dottorato di ricerca in nanotecnologie, ha iniziato ieri la sua supplenza al liceo cervignanese Einstein. Insegna matematica e fisica.
Si definisce «intersessuale», una persona con caratteristiche anatomo-fisiologiche sia maschili che femminili. Lo scorso anno aveva insegnato per un periodo anche al liceo Oberdan di Trieste.
Agli studenti di Cervignano ha spiegato: «Sono un ermafrodito, detto in maniera moderna una persona intersessuale, non inquadrabile nei due ambiti estremali che sono il maschio e la femmina. Mi colloco in una zona centrale molto ampia. Maschio o femmina sono solo i piattini estremali di una bilancia, X è tutto quello che c’è in mezzo. Non voglio fare interventi chirurgici perché non sono donna ma non sono nemmeno uomo, sono una persona che sta a metà e che ha trovato una buona collocazione del sé. L’unico ostacolo è il pregiudizio, dettato dalla carenza di cultura».

Come l’hanno accolta i ragazzi?
«Direi bene, a meno che non siano stati bravi a mascherare le loro emozioni. Certo, si sono mostrati molto attenti e questo è indice di curiosità. Mi sono presentato e poi ho spiegato il fatto che sono ermafrodito. In due parole, con molta grafica. La simbologia grafica rende molto di più di quanto non faccia la verbalizzazione, è più immediata».
Perché ha scelto di esternare questa sua “diversità”?
«Vivo come credo sia corretto vivere per dare soddisfazione alla mia espressione tipica del sé. Non c’è una ricerca di offrire una visione di me o di provocare. Non mi va di essere ciò che altri mi dicono che devono essere solo perché c’è un’impostazione precostituita della persona nell’ambito sociale».
Il suo modo di presentarsi non è conforme all’ordinario. Come gestisce la situazione?
«Non è conforme a un ordinario che si ostina a non prendere atto delle naturali differenze tra gli esseri umani. Solo perché una persona indossa un certo vestito non è detto che dentro ci stia comoda. Quando un individuo sa quali sono i suoi gusti, sa come vuole vestire e quali sono state le caratteristiche biologiche che hanno determinato un parziale sviluppo in una direzione piuttosto che in un’altra, con la testa libera da vincoli di sorta è consapevole di quello che è davvero».
Questo le ha creato problemi?
«Per me si tratta di affermazione del sé. Chi vive in una condizione simile alla mia solitamente pretende, a volta anche con violenza, causata dalla sofferenza, di essere accettato. In altri casi, sa che l’accettazione non sarà possibile e allora decide di creare una famiglia di infelici. Magari con un padre che mette al mondo dei figli che ama, ma che non si sente bene nel ruolo di marito e maschio».

In che cosa si sente uomo e in che cosa si sente donna?
«Sono donna nel desiderio, che non potrò realizzare, di avere un figlio. Sono uomo, invece, nel carattere, così come nella forza fisica. Sono donna anche nella varietà dei gusti, nel piacere per i colori, nella solarità degli atteggiamenti, nell’esuberanza tipica femminile. Insomma, dal punto di vista emotivo e affettivo sono donna. Perché nascondere questa parte di me stesso?».
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