Intervista all'arcivescovo Brollo«Politici al servizio di se stessi»

«Più preoccupati del proprio potere che dei bisogni della gente»
Una società sempre meno cristiana e sempre più consumista, con una profonda crisi di valori anche educativi. E con una classe politico-amministrativa troppo spesso impegnata non a governare le situazioni, ma ad assecondarle, interessata più alla gestione del potere fine a se stesso piuttosto che al servizio della gente. È questo il Friuli di oggi visto attraverso gli occhi di monsignor Pietro Brollo, arcivescovo di Udine dal 2001, che domani in Duomo festeggerà il giubileo sacerdotale, ovvero i 50 anni da quando è stato ordinato prete. Una “fotografia” della nostra realtà abbastanza impietosa e pessimistica, ma che, invece, secondo lo stesso Brollo lascia comunque spazio all'ottimismo: «Perchè questa nostra società, come l'umanità, sta vivendo una crisi dalla quale poi ne uscirà fortificata e più matura».


Cinquant'anni di sacerdozio e forse molti di più di chiamata vocazionale... Ma lei ricorda il momento in cui ha capito che era stato “chiamato”?

«Già da piccolo ero affascinato dal sacerdozio. Ma senza dubbio il passaggio fondamentale per me è stato in quinta elementare. Vengo da una famiglia profondamente religiosa, ma in ogni caso avevo timore a esprimere i miei sentimenti. In quel periodo però dovevo decidere se affrontare gli esami di ammissione per le medie, e quindi affrontare il seminario, oppure se seguire le orme di mio padre, insegnante in un istituto professionale. Alla fine riuscii a farmi coraggio e ad affrontare l'argomento anche in casa. Iniziai la preparazione per gli esami in ritardo. Ma sentivo di aver fatto la scelta giusta».


Negli anni a seguire mai un ripensamento? Mai una crisi?
«Soltanto al tempo del ginnasio ho avuto qualche pensiero in più. Dovevo decidere se continuare il mio percorso all'interno del seminario o se scegliere la formazione salesiana. Mi è sempre molto piaciuta l'attività con i giovani, il collegio dei salesiani era quindi pronto ad accogliermi. Ma poi ho scelto l'impegno sul territorio, tra la “mia” gente, seguendo quindi la formazione del seminario».


E dal seminario arrivò il suo primo incarico...

«Sono entrato a operare in seminario nel 1958. In quell'anno avevamo tre prime classi medie, da 36 alunni ciascuno. Nel corso degli anni è stato anche necessario creare due sedi, una a Castellerio e una a Udine»


Lei è stato anche rettore del seminario, ma le cifre degli allievi e poi dei futuri preti erano già cambiate, vero?
«Sono stato rettore dal 1972 al 1976, nel pieno del cambiamento culturale e sociale anche del Friuli. Il seminario stava già perdendo allievi, anche perchè si moltiplicavano le scuole pubbliche sul territorio e molte famiglie preferivano far seguire ai loro figli un percorso formativo vicino a casa».


Parte da allora il processo delle crisi vocazionali che sta investendo in maniera così pesante ora la Chiesa?

«Sì e no. È indubbio infatti che la società è iniziata a cambiare in quegli anni. Ma credo anche che, come sostiene qualcuno, la carenza di preti di oggi sia effetto di un minor numero di nascite. E quindi più che di crisi delle vocazioni dovremmo parlare della crisi di una società».


E come è allora il Friuli di oggi rispetto a quello di quando lei iniziò il suo sacerdozio?

«Questa nostra società purtroppo è molto meno cristiana e molto più consumistica di quello che era un tempo. Il benessere materiale prevale su tutto e cancella qualsiasi esigenza spirituale, minando tutte le varie strutture della società a iniziare dalla famiglia, che invece dovrebbe essere lo strumento fondamentale per una giusta educazione dei giovani attraverso la trasmissione dei valori più importanti».


Lei parla di consumismo e famiglia... È quasi scontato chiederle un giudizio sulla legge regionale che prevede l'apertura continuata dei negozi, anche di domenica...
«I centri commerciali purtroppo sono i santuari di oggi. Eppure i politici dovrebbero avere la sensibilità e la coscienza di elaborare leggi a sostegno della famiglia e non contro».


E della proposta di legge sui “Dico” cosa pensa?

«Il problema di questa nostra società non è quello di salvare pseudo-formazioni familiari, ma è quello di aiutare le famiglie vere con leggi anche che le favoriscano o che le sostengano nei momenti meno facili. Altrimenti gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Le separazioni sono in netto aumento e i bambini senza riferimenti equilibrati diventano “ineducati” e il dilagare del bullismo poi ne è l'effetto conseguente».


Prima come parroco di Gemona al tempo del terremoto, ora da arcivescovo, lei si è sempre dovuto confrontare con la classe politica friulana. È vero che la provincia di Udine da questo punto di vista ha perso peso?

«Non è che Udine ha perso peso. È che la sua classe politica è cambiata. Un tempo i politici diventavano amministratori dopo anche una seria formazione, attraverso le varie scuole di partito. Ora mi sembra invece che si faccia più politica per gestire il potere e meno per servire la comunità».


In questi 50 anni qual è stato il momento peggiore come prete e arcivescovo? Quando è stato colpito da infarto l'altr'anno?

«Sicuramente quell'episodio non mi ha colpito più di tanto. Mi sono curato e basta. Piuttosto soffro quando vedo le parrocchie in difficoltà. O per la salute dei vari parroci, o perchè questi non sono più giovanissimi e non riescono a seguire tutto».


Lei continua a dire che il Friuli deve tornare a essere di nuovo cristiano, ma in realtà la nostra società è sempre più interreligiosa...

«Il confronto tra vari fedi e credi è auspicabile. Siamo tutti in cammino verso una verità, ma non è detto che il percorso sia medesimo».


La costruzione di una moschea in città quindi non la turberebbe?

«No, sempre che la moschea sia realmente luogo di preghiera e non altro».


Società in crisi di valori, una Chiesa con poche vocazioni, sempre più parrocchie senza titolari in città. Eppure lei continua a professare ottimismo... Ci spiega come fa?

«Questa crisi di vocazioni sta aiutando la Chiesa a capire che è sempre più necessario il coinvolgimento dei laici nella gestione della comunità anche di una parrocchia. Siamo tutti Chiesa, preti e non. E poi credo che questa nostra umanità stia solo vivendo un periodo di crisi “adolescenziale”. Un periodo che la porterà poi a vivere un periodo “adulto” con tutta la maturità possibile».

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto