Incinta mentre scrive la tesi, il Tar: potrà rifare l’esame

UDINE. Resta incinta mentre lavora alla tesi per un dottorato di ricerca in scienze dell’ingegneria energetica e ambientale e le complicazioni accompagnate alla gravidanza la costringono a chiedere una proroga del termine di consegna dell’elaborato.
L’università di Udine, però, gliela nega e la discussione, tenuta lo scorso aprile in modalità telematica a causa dell’emergenza sanitaria, si conclude con un flop. Nonostante il suo brillante curriculum e i master conseguiti in giro per il mondo, la commissione giudicatrice la boccia.
Ma lei, una cittadina pakistana residente in Friuli che di quel titolo ha bisogno anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno in Italia per motivi di studio, impugna il provvedimento davanti al Tribunale amministrativo regionale del Fvg.
E i giudici le danno ragione: l’ateneo, responsabile di «eccesso di potere nella valutazione in sede di esame finale, per contraddittorietà, ingiustizia manifesta e violazione del principio di buona fede nei rapporti tra amministrazione e privato», dovrà concederle un nuovo termine semestrale per correggere e integrare il proprio progetto. Dandole così una seconda chance per sostenere la prova.
La sentenza, depositata nei giorni scorsi dal collegio presieduto dal giudice Oria Settesoldi, ha dunque accolto la richiesta della candidata e annullato la determinazione con cui la commissione aveva ritenuto di non conferirle il titolo. Tra le censure sollevate nel ricorso, il legale della giovane, avvocato Andrea Castiglione, aveva elencato anche una scarsa collaborazione da parte del supervisore, il divieto oppostole di accedere ai laboratori proprio a causa del suo stato interessante e una violazione nella composizione della commissione esaminatrice.
Tutte contestazioni che l’università aveva cercato di smontare, sostenendo la regolarità del provvedimento e di ciascuno dei passaggi che lo avevano preceduto. Quanto alla gravidanza, l’amministrazione aveva rilevato di non averne mai ricevuto formale comunicazione dalla candidata e osservato trattarsi comunque di condizione per la quale il regolamento di ateneo non contempla la “sospensione per maternità”, applicabile «esclusivamente alla frequenza dei corsi – si era difesa l’università – e non estendibile invece al termine di consegna della tesi».
Interpretazione, questa, che il Tar non ha esitato a definire «non conforme a un criterio di ragionevolezza», considerato anche che «l’ordinamento tutela la maternità fin dal momento del concepimento, attribuendo alla madre – si legge nel provvedimento a firma del giudice estensore Luca Emanuele Ricci – il diritto irrinunciabile all’astensione dal lavoro durante e dopo la gravidanza. Il primario interesse alla protezione della salute della madre e del figlio – continua – non può quindi essere declinato diversamente nel contesto del dottorato di ricerca, trattandosi di attività cui il soggetto è tenuto a dedicarsi a tempo pieno».
Né il tribunale ha ritenuto sostenibile la tesi secondo cui l’università non sarebbe stata debitamente informata dello stato di gravidanza, intervenuto nei sei mesi che erano stati concessi alla candidata per integrare e correggere l’elaborato.
La circostanza era stata al contrario comunicata dalla stessa dottoranda al proprio coordinatore (a sua volta componente della commissione) durante un colloquio in presenza e, poi, nella mail con cui gli aveva chiesto (invano) uno slittamento dei termini. «Proprio la gravidanza – ha osservato il Tar – è stata considerata dal coordinatore come fatto impeditivo dell’accesso ai laboratori che la ricorrente avrebbe avuto diritto di frequentare».
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