Incapace donò casa a rom: colpevole anche il notaio

UDINE. L’aveva visto arrivare in studio mano nella mano con la compagna e sottoscrivere con convinzione tutte le carte relative a entrambi gli atti di donazione della propria casa. Neppure l’esame della documentazione aveva evidenziato motivi d’impedimento o annotazioni della curatrice relative al suo stato d’infermità mentale.
Eppure, davanti al notaio Fabio Conte, 49 anni, di Udine, negli incontri del febbraio e del marzo 2010 per la firma dei rogiti che avrebbero trasferito la proprietà dell’abitazione da un cliente all’altra, c’erano un invalido di 66 anni dichiarato incapace dal tribunale di Udine con l’aggravante dell’abuso di sostanze alcoliche e una zingara di 55 anni dal passato non proprio specchiato.
Impossibile, insomma, non accorgersi di niente o non nutrire quantomeno qualche dubbio. Era stato su questo presupposto che Procura e carabinieri, raccolta la segnalazione di una vicina di casa dell’invalido, si erano messi a indagare tanto sulla rom, quanto sul professionista.
Ieri, condividendo la ricostruzione accusatoria del pm Andrea Gondolo, che aveva ipotizzato a carico del notaio il reato del falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico, il giudice monocratico del tribunale di Udine, Mauro Qualizza, lo ha condannato a un anno di reclusione, con il doppio beneficio della sospensione condizionale e della non menzione.
La sentenza ha inoltre dichiarato Conte interdetto dalla professione per otto mesi. Il vpo, Marzia Gaspardis, aveva chiesto una condanna a 9 mesi, mentre il difensore, avvocato Stefano Mauro, aveva concluso per l’assoluzione con la formula “per non aver commesso il fatto”, sostenendo l’assenza dell’elemento psicologico. Alla rom, accusata invece di circonvenzione d’incapace e giudicata in settembre, in abbreviato, il gup aveva inflitto una pena di 4 anni di reclusione.
Al centro del procedimento, dunque, il regalo della casa di Flambruzzo che l’invalido, scapolo e senza figli, aveva deciso di fare alla sua nuova “fiamma”. Una zingara alla quale, però, la vicina cui l’uomo aveva delegato il ritiro della pensione aveva ben presto cominciato a guardare con sospetto. Le indagini dei carabinieri erano partite proprio da qui e si erano poi estese anche al notaio.
La donazione era avvenuta in due tempi: ceduti i tre quarti dell’abitazione, la coppia aveva dovuto tornare dal notaio il mese successivo per formalizzare anche il passaggio della parte appartenuta al fratello ormai defunto e per la quale non si era mai provveduto alla successione.
Nell’argomentare la totale buona fede del notaio, la difesa - che ha già preannunciato appello - ha insistito proprio sulla mancata presentazione, tra i documenti consegnatigli, di una qualsiasi annotazione della curatrice attestante l’accettazione dell’eredità del fratello «con il beneficio dell’inventario», previsto appunto in presenza di persone inabilitate.
Richiamandosi allo stato di riconosciuta circonvenibilità dell’invalido, inoltre, il legale ha ricordato come, in simili condizioni, non sia difficile inculcare in una persona idee non sue. Da qui, con ogni probabilità, la sicurezza e la lucidità dimostrate al notaio all’atto della sottoscrizione di entrambi i rogiti. Incarichi per i quali il professionista incassò un onorario complessivo di meno di 2 mila euro.
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