«Il vero Unabomber ormai è all’estero»

Intervista all’avvocato Paniz: «Si accanirono contro Zornitta per pressioni mediatiche. Dovevano indagare altrove. Oggi è inutile rimettere in moto ricerche: non potrebbero più dare alcun risultato»

PORDENONE. «Il vero Unabomber potrebbe essere cercato all’estero». L’avvocato Maurizio Paniz, difensore di Elvo Zornitta per anni sospettato di essere Unabomber, parla all’indomani della condanna in Cassazione dell’agente che incastrò l’ingegnere di Azzano Decimo con una prova rivelatasi manipolata.

Avvocato, che dire?

«Non ci sono parole per esprimere il dispiacere che ogni cittadino italiano prova nell’aver avuto la certezza che un ispettore di polizia abbia tradito la sua missione costruendo una prova falsa per incastrare un innocente».

Lo stesso poliziotto si è occupato del caso Marta Russo.

«Mi consta che abbia svolto un accertamento peritale. Ma è un tema sul quale non voglio entrare».

Unabomber, quello vero, gira a piede libero...

«Corrisponde al vero, salvo che non sia morto o sia tornato in qualche paese del mondo».

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Ovvero?

«A suo tempo, in sede istruttoria, avevo espresso il convincimento che Unabomber potesse essere di origine sassone, americana o similare. Alcuni elementi tecnici spingevano in quella direzione: la misurazione in pollici e non in decimali del nastro di ottone dal quale fu tratto il lamierino esaminato e i componenti di alcuni prodotti utilizzati, tipici di quel mercato».

Unabomber statunitense?

«Quello di Unabomber è un concetto elaborato e più diffuso nella comunità americana. Ma non ho elementi di certezza; era un tema di indagine eventualmente da sviluppare, senza nulla voler obiettare rispetto al lavoro che gli inquirenti hanno fatto sicuramente con il massimo impegno: una mela marcia non deve rovinare la stima nei confronti del lavoro di tutti gli altri inquirenti».

Da cosa, allora, occorrerebbe eventualmente ripartire?

«Dato il tempo trascorso, le prospettive di un ulteriore sviluppo delle indagini si sono sopite. Già all’epoca molti inquirenti erano demoralizzati, come è emerso durante il processo: non riuscivano a trovare una soluzione davanti a tanti attentati. Si figuri adesso».

Sono stati trascurati alcuni aspetti investigativi?

«Per dare una risposta bisognerebbe conoscere tutti quelli che erano a disposizione degli inquirenti, anche quelli che non sono stati resi noti alla difesa. Inoltre del senno di poi… sono piene le fosse».

Costituire un pool fu una strategia sbagliata?

«Chi ha guidato il pool o, meglio, il laboratorio di Mestre non meritava la fiducia data, come attestano l’esito del processo e la condanna. Un rammarico: in tutta questa vicenda l’ingegner Zornitta è stato lasciato solo, sia perché non era stato nominato un consulente tecnico del pm a sostegno dell’accusa contro Zernar, sia perché la sentenza di primo grado non era stata appellata dall’accusa, pur essendo stata inflitta una pena molto contenuta rispetto alla gravità dei fatti».

Chi è, dunque, Unabomber?

«Impossibile dirlo. Certamente ha utilizzato una strategia di grande abilità dal punto di vista tecnico, perché è certo che non ha commesso errori, altrimenti sarebbe stato scoperto. Mi dispiace per tante persone offese, che non hanno avuto la possibilità di guardare negli occhi e di vedere condannato il vero responsabile di fatti così indegni di una società civile».

Come cercarlo?

«Oggi è inutile rimettere in moto ricerche: non potrebbero più dare alcun risultato. Ho la convinzione morale che sia impossibile raccogliere tutti gli elementi istruttori dell’epoca, tra l’altro inizialmente suddivisi in diversi uffici giudiziari».

Ma sarebbe una “soddisfazione” anche per il suo assistito.

«Ne ha già avute due importanti. E’ stato archiviato il sospetto nei suoi confronti e la sua immagine è stata riabilitata in tutto il mondo. E’ stato definitivamente condannato chi voleva incastrarlo a vita».

Un eventuale risarcimento?

«Non lo ripagherà mai di tutto ciò che ha sofferto, né compenserà almeno i costi tecnici subiti; di quelli legali non è stato finora pagato nemmeno un euro. Costituirà, eventualmente, un minimo ristoro per avere perso il lavoro e averne trovato un altro non all’altezza del titolo di studio conseguito e della precedente esperienza professionale».

Il poliziotto aveva rinunciato alla prescrizione.

«E la condanna se la subisce tutta: ha voluto rischiare sino in fondo sfidando la giustizia».

Un atto di coraggio...

«In linea con il personaggio che ho scoperto negli atti processuali. Per vana gloria ha costruito questa prova. Si gloriava di avere una laurea, che invece non aveva. Si è spogliato di tutti i suoi beni per non correre il rischio di pagare un eventuale risarcimento all’ingegnert Zornitta. Questi fatti si commentano da soli».

Sogna un nome per Unabomber?

«Sarebbe il sogno di tutte le vittime di questa vicenda e non solo di Zornitta, che pure è una vittima».

Si dovrebbero riaprire le indagini.

«Dipende dai pubblici ministeri. Ho il massimo rispetto per la loro attività. Penso sia però difficile ipotizzare oggi un risultato che in tanti anni, dal 1994, non si è ottenuto».

A meno che...

«Unabomber tornasse a colpire. Ma, soprattutto, sbagliasse qualche mossa. Finora non lo ha fatto».

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