Il racconto di Pedone, guarito dal Covid: «Tutto è cominciato col mal di gola, ho avuto davvero paura»

UDINE. «Posso serenamente affermare di far parte di quella larga schiera di soggetti, sani e in forza, che per lungo periodo hanno pensato si trattasse di una malattia che colpiva essenzialmente soggetti patologicamente e clinicamente predisposti. Balle. Purtroppo si tratta di un virus che vive in mezzo a noi ed è estremamente pericoloso».
Parola del 51enne udinese Alessandro Pedone, amministratore delegato della Gsa di Tavagnacco nonché presidente dell’Apu Old Wild West Udine di basket, che il virus l’ha preso ed è guarito. Dopo aver provato su di sé cosa significa, ha deciso di raccontarlo, per spingere anche i più reticenti al rispetto delle regole, «perché il virus è in mezzo a noi, ed è potenzialmente mortale», afferma senza nascondere che anche lui, pur giovane, pur sportivo, ha avuto paura.
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C’è chi parla di incubo per raccontare la malattia. Presidente Pedone, lei che parola sceglie?
«Dico anzitutto che bisogna essere molto rispettosi, verso chi muore, chi soffre molto, chi ne esce con danni permanenti. Detto ciò, per me fortunatamente non si è trattato di un incubo, ma comunque di una seria e forte influenza, con sintomi non del tutto identici a quelle avute in passato. Credo che il fatto di essere un ex atleta sano, piuttosto allenato stante i 51 anni, ma sopratutto di aver immediatamente diagnosticato la malattia, abbia avuto un ruolo fondamentale nel mio personale decorso».
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Come si sono manifestati i primi sintomi?
«Avevo fatto il tampone in occasione di un intervento al menisco da tempo programmato e in quell’occasione ero risultato negativo. Purtroppo, otto giorni dopo, ho cominciato ad accusare del leggero mal di gola e un po’ di febbriciattola. Sono anni che non ho nemmeno un’influenza stagionale ed essendo un soggetto esposto, per contatti, viaggi e incontri continui, ho inevitabilmente pensato al Covid. Era domenica, la febbricola l’avevo dalla notte, il mal di gola e la tosse dalla mattina, avevo una serie di importanti appuntamenti fissati per i primi quattro giorni della settimana entrante a Milano».
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Quindi?
«Ho annullato tutto. Gli appuntamenti li ho fatti slittare al fine settimana per sottopormi a tampone di controllo la mattina seguente, alle otto, in una struttura privata accreditata. Lunedì mattina ho iniziato ad avere febbre alta e tutti i sintomi sono aumentati di intensità. La sera stessa ho avuto la risposta: positivo».
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Come ha reagito fisicamente e psicologicamente?
«Il primo pensiero è stato quello di capire se avessi potuto involontariamente contagiare qualcuno. Si tratta di una malattia subdola, che ti fa immediatamente sentire un untore e come tale, purtroppo, talvolta vieni percepito dagli altri. Ho cercato di mappare il perimetro delle persone che avevo incontrato nelle 72 ore antecedenti il primo sintomo. Ho avvertito tutti, ho proceduto a sottoporre a tampone i familiari, gli amici, i collaboratori incontrati e questi ultimi a loro volta hanno tracciato i perimetri di potenziale contagio. Poi ho scritto alla Asl».
Il momento più difficile?
«L’attesa del risultato dei tamponi delle persone care e di quelle incontrate. È stata più snervante e psicologicamente dura della mia, devo essere sincero».
Ha avuto paura?
«Certamente che ne ho avuta. Solo un babbeo può non avere paura di una malattia nuova, che non ha ancora un protocollo curativo ufficiale e che potenzialmente è mortale. Ribadisco quanto detto all’inizio: ci vuole rispetto. Del virus e delle conseguenze che può portare all’organismo. Prenderselo è estremamente semplice, nonostante io abbia sempre rispettato tutte le disposizioni e le procedure previste. Sono stato molto fortunato, dopo 10 giorni esatti sono guarito perfettamente e tornato negativo, ricominciando la mia vita normale senza alcuno strascico».
Nella sua veste “pubblica”, di imprenditore e di mecenate dello sport, qual è il messaggio che si sente di mandare ai suoi dipendenti e atleti?
«Già quest’estate in occasione della presentazione degli atleti americani, avevo avuto occasione di insistere sul concetto del “take safe“, della creazione di una cultura di convivenza quotidiana con il virus. Ero e sono fermamente convinto del fatto che, purtroppo, per ancora lungo tempo dovremmo per l’appunto conviverci. Quindi bisogna dare piena e costante applicazione a tutti i protocolli di sicurezza, nazionali e locali. Anzi. Ove possibile vanno implementati nelle nostre aziende, rendendole vere e proprie “bolle” in sicurezza».
Teme un nuovo lockdown totale?
«Noi imprenditori e tutti i nostri staff ci troviamo di fronte ad una dura prova: si deve fare squadra, rimandare i piani di sviluppo, slittare i budget, stringere i denti, tenere compatti i gruppi di lavoro e al contempo infondere fiducia nel futuro, al nostro interno, ma anche facendo sistema con le altre realtà. Spero e confido che un nuovo lockdown non colpisca il Paese, sarebbe un colpo troppo duro a un Pil già soffocato dalla prima ondata pandemica. Ma ci vuole coscienza civile, bisogna capire che oggi siamo chiamati ad alcuni sacrifici, per evitarne di più grandi domani. Io ho una visione puramente economica, laica e totalmente apolitica: altre esperienze europee e mondiali sono lì a insegnarci cosa può accadere, se il nostro sistema sanitario andasse nuovamente al collasso».
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