Il Pm: così hanno "spolpato" CoopCa

UDINE. La tesi del cda di CoopCa è che la crisi che ha risucchiato la cooperativa carnica così in basso sia stata scatenata dal default di Cooperative operaie di Trieste, inducendo i soci prestatori, dall’estate dello scorso anno, a richiedere la restituzione dei soldi ingenerando così problemi di liquidità. Insomma, un effetto domino innescato dai “cugini” giuliani.
Tesi, però, che viene, ribaltata come un calzino dal contenuto del Piano depositato in Tribunale, a Udine, dallo stesso cda. E a smentire l’analisi sulla crisi di CoopCa basterebbero due fatti. Il primo concerne il dato che già prima della richiesta di concordato preventivo, scattata il 17 novembre dello scorso anno, erano emerse gravi difficoltà con i fornitori.
L’altro fa invece emergere con tutta evidenza che, prima della richiesta concordataria, si era verificata, da parte di quelli che i soci prestatori avevano immediatamente ribattezzato gli “Schettino della Carnia”, la richiesta di restituzione del prestito di persone molto addentro nei vertici di CoopCa.
La Procura di Udine, comunque, stava indagando su CoopCa già prima della richiesta del concordato preventivo. E anche questo emerge in maniera evdidente nel Piano che riporta in un capitolo il procedimento penale attivato dal Pm e i rilievi emersi.
L’indagine della Procura, poi sfociata in un decreto di perquisizione, «promana - si legge dagli atti depositati in tribunale - dall’istanza di fallimento presentata in data 31 ottobre scorso dal creditore Estuario carni nei confronti di CoopCa, nonché da denuncia-querela presentata in data 13 gennaio 2015 dal Comitato spontaneo di difesa dei soci prestatori CoopCa».
Insomma, già da ottobre sulla cooperativa carnica imperversava la tempesta. E molti se n’erano accorti. A partire, appunto, dai fornitori. Nel Piano si parla di “atti prodromici”, avvenimenti cioè che hanno preceduto la scoperta del “buco” di circa 83 milioni di euro.
Come, ad esempio, la decisione del cda di commissionare a una società specializzata in riorganizzazioni aziendali nell’ambito della Gdo (Studio Beltrami srl) la redazione di un piano riorganizzativo e di rilancio approvato dallo stesso cda il 24 ottobre 2014.
Esisteva in quei mesi il problema del reperimento di risorse finanziarie a breve, necessarie a garantire la continuità di rapporti con i fornitori, «molti dei quali - si legge ancora nel piano - a partire dall’inizio del 2014 hanno cominciato a non evadere più gli ordini avendo CoopCa accumulato rilevante scaduto nei loro confronti e ciò ha determinato una progressiva riduzione delle “referenze” sugli scaffali dei punti vendita, nell’ordine del 30 per cento».
La situazione stava dunque degenerando prima ancora dei problemi di liquidità innescati dalla crisi delle Operaie di Trieste. E non caso nel Piano spuntano precisazioni inequivocabili. La prima concerne il fatto che dagli accertamenti delegati alla Guardia di finanza sono emerse, secondo i rilievi mossi, alcune irregolarità. Tra queste quella che appare la più difficile da digerire da parte dei soci-risparmiatori.
«Nel periodo compreso tra il primo giorno di settembre e l’ormai fatidico 17 novembre del 2014 sono state effettuate - si legge nella relazione del sostituto procuratore Elisa Calligaris - importanti restituzioni del prestito sociale (...) in favore dei soci che sono nel contempo amministratori, sindaci e/o familiari degli stessi soggetti o comunque collegati a CoopCa».
Ma se compiamo un altro passo indietro fino al luglio precedente la tesi del cda sulla crisi perde ulteriore consistenza. Dalla querela sporta dal vice presidente del direttivo spontaneo del Comitato dei soci prestatori, emerge infatti che la cooperativa nel periodo luglio-agosto ha inviato ai soci la lettera di sollecitazione a depositare nuove risorse finanziarie.
«Tale fatto - secondo la Procura - attesta che CoopCa, in piena crisi e in violazione sostanziale dei limiti patrimoniali (...) abbia fatto ricorso al prestito sociale con possibile configurazione di ulteriori illeciti in danno dei soci prestatori».
Si precisa che il Pm - con istanza del 19 gennaio del 2015 - è formalmente “intervenuto” nella procedura di concordato preventivo, formulando istanza di nomina del commissario giudiziale, motivata dalla rappresentazione delle irregolarità emerse in seguito ai sopra richiamati accertamenti d’indagine delegati dalla Procura della Repubblica.
Istanza che è stata rigettata dal tribunale di Udine in quanto il consiglio di amministrazione risultava essere modificato rispetto alla configurazione iniziale e le relazioni chieste sono state compiutamente disposte.
Infine, sottolinea il tribunale, «non emergono condotte sanzionabili ai sensi dell’articolo 173 della legge fallimentare, poichè i fatti segnalati dal Pm paiono riconducibili a ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale o preferenziale o impropria ex articolo 236 Legge fallimentare, più che ad intento di frodare le ragioni dei creditori tramite occultamento o dissimulazione di attivo».
Insomma non si entra nel merito delle accuse mosse dalla Procura, ma sostanzialmente si punta alla conservazione della dirigenza esistente per poter procedere con il piano concordatario. Una scelta che in Procura non è stata certamente gradita.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto