Il parroco degli ultimi va in pensione: 48 anni a San Pio X

UDINE. Il “parroco degli ultimi” saluta la sua comunità. Dal prossimo 7 dicembre, infatti, a San Pio X arriva don Paolo Scapin, curato di Forgaria, Cornino e Flagogna al posto dell’ottantaquattrenne don Tarcisio Bordignon parroco di Baldasseria sin dal 1966. Sono stati 48 anni in cui il prelato palmarino ha visto cambiare la città e il quartiere, ha dato vita al centro umanitario “Pellegrini per la vita”, alla cooperativa di traslochi “Cif e Zaf” e alla prima comunità neocatecumenale di Udine.
Parroco anticonformista e lontano dagli schemi classici della dottrina cattolica, per la sua opera è stato spesso descritto come un personaggio scomodo ai vertici ecclesiastici e anche agli stessi abitanti del quartiere.
Don Tarcisio com’è cambiata Baldasseria in quasi mezzo secolo?
«Quando sono arrivato qui, da Tarcento, queste erano ancora vie dove si percepiva un’atmosfera rurale con la presenza di tanti contadini. Erano gli anni dell’espansione edilizia e della realizzazione delle abitazioni dei ferrovieri che con il loro Dopolavoro rappresentavano il principale centro di socialità del quartiere. Dopo il terremoto, invece, è cambiato tutto».
Che ruolo ha avuto, in quegli anni, la parrocchia di San Pio X?
«Credo abbia rispecchiato lo stile di chi l’ha guidata. Ho sempre concepito il mio ruolo di parroco come un servizio per gli altri, specialmente per i meno fortunati, cercando contemporaneamente di creare un polo di aggregazione che potesse mettere insieme le diverse individualità».
Si riferisce, in particolare, al centro “Pellegrini per la vita”?
«Non soltanto a quello. Qui tra il 1968 e il 1970 abbiamo contribuito a far sorgere la scuola materna Erminia Linda e l’asilo nido correlato. Poi abbiamo completato il campo sportivo di via Valente e fatto nascere il Donatello, la sezione locale dell’associazione friulana donatori di sangue e anche il centro per diversamente abili in via Piutti. Senza dimenticare la chiesa vera e propria».
Quanto l’ha ferita il giudizio di chi l’ha definita come un parroco scomodo?
«Ognuno è libero di esprimere la propria opinione, ma io ho sempre basato la mia vita sul concetto di come un tetto sulla testa, un letto dove dormire e un piatto caldo non si debbano negare mai a nessuno. Qui tutto è cominciato con la “Casa Nogara” e i suoi sei appartamenti in cui venivano ospitate una quarantina di persone. Soltanto in seguito abbiamo utilizzato la struttura dell’ex cappella per trasformarla in quel centro di accoglienza rimasto tale sino al 2012 quando è stato ceduto alla Caritas. Aperto a tutti, italiani e stranieri, e sempre in maniera del tutto spontanea».
Nel 1985, poi, arriva l’idea della cooperativa di traslochi “Cif & Zaf”...
«Sì perché l’attività pastorale deve essere qualcosa di attivo e che possa aiutare le persone sia spiritualmente che concretamente. La cooperativa – ancora operante – è stata voluta per dare lavoro a chi ne aveva bisogno e come emanazione di una parrocchia “viva” che si sviluppava anche nelle attività di villa Ostenda a Grado e di casa Gioiosa a Mione di Ovaro».
C’è qualcosa in particolare di cui va veramente orgoglioso?
«La fondazione, nel 1971, della prima comunità neocatecumenale della città di Udine. Una comunità che ha aiutato tantissime persone a risollevarsi dalla miseria morale, spirituale e materiale in cui si trovavano. Adesso ci sono cinque realtà che, di anno in anno, realizzano le catechesi per adulti, ma quello che mi fa più piacere è come la comunità abbia trovato ampio respiro tra i giovani. Ci sono tanti esempi di ragazzi e ragazze che hanno deciso di mettersi al servizio degli ultimi in un mondo sempre più individualista e che, invece, avrebbe il disperato bisogno di esperienze di vita comune».
Cinquant’anni dopo, quindi, qual è il giudizio che dà di Udine?
«Quello di una città che nel tempo si è inaridita e che ha meno interesse per i problemi, e le necessità, del prossimo. La riduzione di ogni cosa alla sfera della soggettività totale e l’indifferenza stanno uccidendo le nuove generazioni che si trovano anche a fare i conti con una vita sempre più dura e difficile».
Don Tarcisio, ma dal 7 dicembre lei che cosa farà?
«Io resto qui a San Pio X, non vado da nessuna parte alla mia età. Resto innanzitutto per aiutare il mio successore a inserirsi nella nuova comunità e poi, compatibilmente con le mie forze, mi metto ancora a disposizione degli ultimi. Specialmente degli anziani e degli ammalati per cercare di tenerli in contatto con le altre persone e farli sentire ancora parte di una comunità».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto