Il mondo del pallone distrutto dal dolore: «Carlo Giust, una persona vera»
SACILE. Carlo Giust non era un calciatore qualunque, nel mondo dilettantistico pordenonese. Era un’icona. Un ragazzo ben voluto da tutti, nonostante il carattere tosto e di un esuberanza a volte esagerata.
Era amato in quanto “puro”: «Una persona vera», ricordano all’unisono i suoi tanti ex compagni di squadra e allenatori che, in vent’anni di carriera calcistica, ha avuto. L’intera Pordenone calcistica piange la sua scomparsa, prematura e crudele.
Generoso. Carlo Giust ha chiuso il suo percorso da giocatore nella Virtus Roveredo, nel 2012, in Promozione. Prima ancora era stato un difensore-centrocampista di Cordignano, Fontanafredda, Sarone – coi pedemontani nel suo ultimo anno di Eccellenza, per aiutare l’amico tecnico Marco Feruglio –, Opitergina ma, soprattutto, Sacilese.
E’ con i liventini che si è sviluppata la sua carriera. Il settore giovanile, l’esordio in prima squadra e quella famosa finale di coppa Italia dilettanti nel 2000 persa con l’Orlandina. Proprio lui, nella gara d’andata, aveva segnato uno dei due gol con cui i biancorossi avevano superato i siciliani.
Al ritorno il ko ai rigori, in una gara che ancora tanti ricordano. Di Alessio Pessot, difensore di quella squadra, il ricordo di quel match sulla sua pagina Facebook.
«Ho trovato la foto che meglio ti rappresenta – scrive, sotto l’immagine in cui Giust stacca di testa –: imperioso, esuberante, esagerato, sempre leader nei momenti difficili. Io non ho mai conosciuto in vita mia una persona con la tua personalità, la tua forza, la tua volontà di essere sempre davanti, sempre in prima fila».
Ad allenare quella squadra era Claudio Salvadori, il mister a cui Carlo era rimasto più legato nel tempo. «Ricordo sempre – afferma il tecnico – che mi chiamava generale, dicendomi che ero il suo capitano. Eravamo io e lui, in ritiro, a fare il giro delle camere per vedere se tutti i ragazzi erano in stanza. Era un lottatore, una persona vera e generosa e un ottimo giocatore. La sua scomparsa mi addolora molto».
Il ritrovo. Proprio quel gruppo si era ritrovato all’osteria La Torre di Salvadori per l’ultima volta nell’aprile 2015. C’era anche Giust. A tutti aveva detto di non stare bene, ma al contempo non voleva parlare della sua malattia: voleva solo divertirsi, quella sera.
Un messaggio rivolto in maniera spontanea, diretta. «Carlo era così: uno vero – afferma di lui Alessandro Moras, compagno di squadra per molti anni –. Con lui ho litigato tante volte in campo, ma sempre a fin di bene. Ero legato a lui, rappresentava l’immagine della vitalità. Incarnava appieno quello dote. Era un entusiasta, uno pieno di iniziativa, un ragazzo generoso, pieno di energia, un leader».
In quella squadra c’erano Andrea Toffolo, Alessandro Giavon, Fabio Toffolo e tanti altri: persone che volevano bene a Giust. Un affetto sincero, da fratelli. Perché Carlo era anche accomodante con tutti.
«Ero un ragazzo esordiente in prima squadra – racconta Nicola Giordani, attaccante del Torre –. A modo suo, con la sua esuberanza, era stato quello che più ha dato una mano ai giovani per ambientarsi tra i grandi. Ho un ricordo bellissimo di lui».
Così come ce l’ha Filippo Cristante, attuale allenatore della Berretti del Pordenone, coetaneo di Giust. «Cinque stagioni assieme, nel settore giovanile della Sacilese: dai 12 ai 17 anni – afferma –. Non ho avuto problemi a inserirmi perché c’era Carlo: accogliente, sempre disponibile, pronto a supportarti in ogni momento, acuto e curioso nella maniera giusta».
Con loro anche Filippo Campaner, ex capitano del Pordenone, anche lui classe ’77. «Abbiamo fatto tutto il settore giovanile assieme – spiega “Ciccio” – esordendo poi in prima squadra. Era una persona piena di energia, che si impegnava sul campo e che si divertiva. Mancherà a tutti».
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