Il Messaggero Veneto compie 69 anni. Il primo direttore: "Vi racconto come nacque il giornale friulano"

Parla il fondatore della testata Mascilli Migliorini. La storia del nome e l'origine dell'aggettivo "Veneto"

UDINE. Tempo di compleanni grandi e tondi: ha compiuto cent’anni l’inizio della Grande guerra e 70 la fine della seconda; il terremoto si affaccia alle soglie dei 40, come pure la morte di Pasolini. Ma ci sono anche ricorrenze liete da festeggiare. Come i settant’anni del Messaggero Veneto, 24 maggio 2016. E qui siamo già in fase di anteprima.

Unico testimone ancora vivente di quei lontani anni è il primo direttore del giornale, Enrico Mascilli Migliorini, un professore di origine calabrese allora 23enne, destinato poi a far carriera nelle sedi dirigenziali della Rai e nell’insegnamento all’Università di Urbino.

Il suo soggiorno a Udine, durato poco più di un anno, gli è rimasto nel cuore. Vi arrivò da Venezia dove durante la guerra era solo uno studente, impegnato nella redazione e diffusione clandestina del periodico Veneto liberale.

Passati i 90 («tra un mese ne farò 93!») Mascilli Migliorini abita al Vomero, è vedovo da alcuni anni e ha tre figli. Non si muove da Napoli, se non in casi straordinari. «Non torno mai – ama dire – nei luoghi dove sono stato felice». Tra questi ci sono Udine e Urbino («le due città con la U che mi hanno stregato»).

In 70 anni nella nostra città, dopo averla lasciata con un indimenticabile incontro di congedo con colleghi e amici, è stato due volte: nel 1968 («eravate da poco passati in viale Palmanova, dove ho conosciuto il direttore Vittorino Meloni, successore di Tigoli, e le sue nuove tecnologie») e nel 1996 per i cinquant’anni del giornale. «In quell’occasione – continua il ricordo del primo direttore-fondatore – conobbi un altro direttore, Sergio Gervasutti, che spesso tuttora sento al telefono. Fu lui a invitarmi, e fui molto festeggiato».

Mascilli Migliorini contribuì allora alla pubblicazione celebrativa (“Mezzo secolo con il Friuli”) con uno scritto ampio e dettagliato cui da vent’anni attingono tutti coloro che cercano non solo le nostre origini, ma anche “lo spirito” dell’antico Messaggero.

E si chiedono che “senso” abbia quel nome con tanto di aggettivo Veneto.

«Premetto che per spiegare la scelta bisogna risalire al particolare periodo dell’immediato dopoguerra. Le ipotesi per dare un nome al giornale che avevamo in mente di fare erano molte e suggestive. Alla fine di un’appassionata discussione – che durò un’intera notte – nello studio di via Zanon dell’avvocato Eugenio Linussa, presidente della neonata società editrice Sve, fu deciso, appunto, il nome Messaggero Veneto».

E come vi si arrivò?

«Bisognava tener conto della tradizione locale (Il Giornale di Udine, fondato nel 1866 da Pacifico Valussi, La Patria del Friuli di Domenico Del Bianco), ma allo stesso tempo rendersi anche interpreti dei grandi valori nazionali. In un momento che vedeva compromesse le frontiere orientali e con esse il retaggio della Grande guerra vittoriosa di vent’anni prima».

Un giornale libero e il Friuli trovò la forza di ripartire

Ma torniamo al nome.

«Il termine Messaggero, in pratica, orecchiava quello di Roma da dove provenivano alcuni giornalisti e collaboratori tra cui Mario Bernardini, Mario Cotone e Giuliano Santoro (mentre da Venezia erano arrivati il toscano Sergio Pacini e il futuro direttore del Gazzettino Attilio Tommasini). Ma soprattutto l’aggettivo Veneto si spiegava e si completava col sottotitolo “Quotidiano delle Tre Venezie”. Bisogna pensare che allora Udine e la sua provincia (compreso il Pordenonese) facevano parte della Venezia Euganea, mentre Trieste e Gorizia amministrate dal Governo militare in attesa della definizione del trattato di pace (10 febbraio 1947) erano comprese nella Venezia Giulia (la terza era la Venezia Tridentina, oggi Trentino Alto Adige)».

Il nuovo giornale ebbe quindi, in quel momento, una importante funzione nazionale...

«Certamente. E direi anche storica. Gli angloamericani non consentivano a Trieste e a Gorizia l’uscita di un quotidiano italiano del mattino (c’era solo anonimo e anodino Giornale Alleato realizzato nella tipografia del Piccolo, che dovette sospendere le pubblicazioni). Così, da via Carducci, verso le cinque di ogni mattina (tranne il lunedì: il settimo numero nascerà nel 1955) partiva il camioncino con le edizioni del Messaggero Veneto destinato alle due città, mantenendo un importante collegamento tra esse e il resto della patria dalla quale erano ancora divise».

E questo fino a quando?

«Nel 1947 Gorizia e nel 1954 Trieste torneranno all’Italia, rinascerà il Piccolo, sorgerà poi la Regione Friuli Venezia Giulia, ma il Messaggero Veneto continuerà ancora, seppure con modi e impostazioni diverse, la sua funzione di ponte tra il Friuli (non più Venezia Euganea) e la Venezia Giulia, rimasta tale anche se mutilata dal trattato di pace».

Chi furono i fondatori del giornale?

«Un gruppo di liberal-monarchici. Oltre a Linussa (alpino della Grande Guerra, presidente del Movimento tricolore, proprietario della Villa Italia di Torreano che dal 1915 al ’17 ospitò il re Vittorio Emanuele III), l’avvocato Feliciano Nimis e diversi nobili proprietari terrieri come i conti d’Attimis-Maniago, de Puppi, Orgnani, Kechler... Costituirono l’editrice Sve che riuscì ad acquistare l’ex stabilimento del Popolo del Friuli fascista dove, subito dopo la liberazione, si era insediato il quotidiano del Cln, Libertà. Dal 24 maggio 46 da quell’edificio, vistosamente danneggiato dai bombardamenti, uscì anche il Messaggero Veneto».

Come fu possibile la “coabitazione” tra i due giornali?

«Grazie a un accordo sui modi, sui tempi, sui turni, (c’erano solo sei linotypes e un’unica rotativa), un vero protocollo d’intesa raggiunto, e firmato, tra il caporedattore di Libertà Arturo Manzano e io. Il quotidiano del Cln cessò le pubblicazioni l’8 luglio 1947 e alcuni suoi redattori, tra i quali lo stesso Manzano, passarono con noi (non Piero Fortuna, che andò al Gazzettino di Gorizia)».

Chi ricorda in particolare dei colleghi friulani di allora?

«Manzano in primis, naturalmente. Quando lasciai Udine, durante una indimenticabile cena di saluto mi donò una pergamena con le firme di tutti. E una bellissima vignetta. Hanno arrestato Mascilli Migliorini (disegnato in piazza Libertà tra Florean e Venturin vestiti da carabinieri), diceva il titolo e sotto spiegava: “Voleva restaurare a Udine il Regno delle due Sicilie”. Alla cena c’erano: il capocronista Giorgio Provini, il giornalista calciatore (giocava nell’Udinese) Alvise De Ieso, due praticanti di grande avvenire Isi Benini e Sergio Maldini, Gaetano Cola tra i giovani collaboratori. Dirigeva la tipografia un grande proto, Ivanoe Pregnolato».

Quando lasciò Udine?

«Nel novembre 1947, quando il giornale aveva ormai superato la fase di avvio e alla direzione mi subentrò il capo della redazione triestina Carlo Tigoli. A Napoli dove avevo conosciuto mia moglie e sarebbero nati i miei tre figli, mi aspettava un posto nella redazione de Il Giornale, fondato nel 1943 da Benedetto Croce. Poi passai alla Rai: trent’anni di direzione tra Cosenza, Ancona e, infine, Firenze. E dal 1978 la scelta della sociologia e dell’insegnamento accademico a Urbino, “stregato” da un’altra città che comincia per U...».

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