Il legale: "Dopo questa sentenza tutti i dirigenti rischiano"

Secondo l’avvocato Guidobaldi il caso Bearzi e la legge 107 aprono nuovi scenari. «Come garantire la sicurezza senza risorse, interlocutori e piani d’intervento»?

UDINE. «Quello che è accaduto a Livio Bearzi d’ora in poi potrà capitare a dirigenti di qualsiasi scuola. Secondo il Testo unico sulla sicurezza, infatti, il dirigente risponde dell’incolumità di studenti, insegnanti e di tutti coloro che si trovano nell’edificio scolastico, pur non avendo nè risorse nè spesso le competenze per intervenire direttamente.

Quindi, in sostanza, tutti rischiano. A maggior ragione da dopo l’entrata in vigore della legge 107 sulla Buona scuola».

Così il difensore del preside Bearzi, l’avvocato Paolo Enrico Guidobaldi, pone il problema della mancata corrispondenza tra responsabilità, competenze e disponibilità finanziarie in capo ai dirigenti scolastici. Come dire, insomma, che per legge i presidi hanno doveri ben precisi.

Ma spesso non riescono ad agire di conseguenza perché non hanno i soldi e poteri proporzionati alle responsabilità.

«La legge 107 – argomenta il legale del foro dell’Aquila – ribadisce ancora di più, se ce ne fosse stato bisogno, che ai dirigenti, viene affidata l’intera responsabilità della scuola. Ci sono poi diverse circolari ministeriali che individuano nel preside il datore di lavoro, assimilandolo a una sorta di imprenditore.

Ora io mi domando, visto che le scuole italiane non hanno mai brillato dal punto di vista della sicurezza, come faranno i presidi/datori di lavoro a garantirla senza risorse, senza interlocutori, senza piani d’intervento? Secondo sindacati e associazioni di consumatori circa l’88% delle scuole non sono a norma per la mancanza di qualche certificato o simili».

L’avvocato Guidobaldi sottolinea poi come L’Aquila non fosse stata inserita tra le aree a maggior rischio sismico, ma fosse stata classificata in zona due, cioè di media pericolosità, nella Carta della classificazione sismica.

E, tra le sue argomentazioni, ha più volte ricordato come tutti i tecnici convocati dalla Protezione civile il 31 marzo 2009 avessero escluso un sisma disastroso e avessero invitato a non diffondere allarmismi e a non farsi prendere dal panico.

Il terremoto del 6 aprile era stato preceduto da «una forte scossa nel pomeriggio del 30 marzo. Il Convitto era stato evacuato e le scuole erano rimaste chiuse per due giorni.

Dopo il sopralluogo dei tecnici e una riunione con il sindaco, il 2 aprile era stato dato l’ok alla riapertura. «Perché non si va a vedere chi ha dato quel via libera»? si era domandato tempo fa lo stesso preside Bearzi.

Insomma, nessuno avrebbe lanciato l'allarme. Tant’è che pure la Commissione grandi rischi è finita sotto inchiesta per il medesimo motivo.

A testimoniare la buona fede di Bearzi anche un altro particolare: il 6 aprile 2009 cadeva in pieno periodo di vacanze pasquali e il dirigente aveva invitato tutta la famiglia a L’Aquila. Moglie e due figli si sono salvati per miracolo, anche loro erano sotto le macerie del Convitto.

Nel 2010 la difesa di Bearzi aveva richiesto che il giudizio su questo caso fosse pronunciato da un tribunale diverso da quello Dell’Aquila, visto che le situazioni locali, al tempo, risultavano, a parere dell’avvocato Guidobaldi, «talmente gravi da turbare lo svolgimento del processo stesso».

«Avevo messo in evidenza – precisa il legale – tutta una serie di fenomeni esterni alla dialettica processuale (dichiarazioni pubbliche di politici, trasmissioni televisive...) che inducono a far sorgere nell’opinione pubblica il convincimento che la sentenza di condanna sia già stata scritta».

«Non voglio essere il capro espiatorio di tutta questa vicenda», era stato il commento di Bearzi dopo la sentenza di primo grado.

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