Il Fvg punta sul Bio, il presidente di Coldiretti: «Bene, così l’agricoltura ritroverà slancio»

Dario Ermacora: puntare su qualità, salute e territorio. Mercato in crescita per produzioni di nicchia e a km zero
UDINE. Bio e non solo. «Sicurezza alimentare, tracciabilità, prodotti a chilometro zero, e quindi del territorio... È ciò che i consumatori, sempre più consapevoli, chiedono e credo siano indicatori da cogliere, soprattutto in una regione, come la nostra». È la considerazione di Dario Ermacora, presidente di Coldiretti Fvg, davanti ai numeri che descrivono la crescita del biologico in questa regione. Un trend che fotografa il cambiamento dei consumatori, un cambiamento su cui Coldiretti, con le tante battaglie sulla tracciabilità, sull’etichettatura chiara dei prodotti, ha inciso.


Presidente, il Bio, per l’agricoltura del Fvg, è il futuro?


«Il mercato dimostra di preferire, nelle proprie scelte di acquisto, sempre di più prodotti che garantiscono una maggiore sicurezza alimentare, tracciabilità, metodi di produzione e di allevamento diversi. Da qui credo sia interessante riflettere sull’opportunità che questo riserva ad un territorio, come il nostro, ma anche ad un Paese, come l’Italia, che non ha certo le distese di campi di altre nazioni, se si imbocca un percorso rivolto verso questi valori».


Biologico, quindi...


«Biologico, certo, ma anche produzioni di nicchia, non dimenticando che la superficie media delle nostre aziende è di 8 ettari, e questo vuol dire che siamo più predisposti e organizzati per percorsi di questo tipo».


Ma non c’è anche chi piange se non coltiva mais?


«Indicatori ci dicono che la superficie dedicata a mais si sta riducendo, e questo perché c’è la consapevolezza che difficilmente questa coltura potrebbe rappresentare una opportunità anche per i prossimi 40 anni. Ma non è facile cambiare».


Perché?


«In generale possiamo dire che il cambiamento ci preoccupa sempre. È anche vero che ci sono aziende in cui il passaggio generazionale non è avvenuto e senza quindi il contributo innovativo che arriva con i giovani, il “salto” non lo si fa e si continua a gestire l’impresa come sempre nella speranza che il mercato riparta».


Tornando al bio, chi garantisce il consumatore?


«Su questo sono piuttosto tranquillo. In Italia abbiamo un sistema di controlli che è di per sè una garanzia. È vero che il disonesto c’è sempre, ma fortunatamente sono una minoranza. Mi par che nel nostro Paese, se in alcuni settori ci sono dei gap da colmare, nell’agroalimentare e nei controlli non siamo secondi a nessuno. Nemmeno alla grande Germania, da dove abbiamo “importato” prodotti discutibili».


Dalla verdura alla carne, il bio ha raggiunto anche il latte e i derivati...


«Sì ed è uno dei settori che offrono maggiore sicurezza. Ha un protocollo molto rigido e se ci si pensa, l’allevamento in montagna, nelle malghe, con la produzione di latte e formaggi, è biologico per definizione perché le mucche non vengono alimentate con mangimi, né soia, né mais».


E il vino?


«Qui parliamo di coltivazione della vite che deve seguire regole particolari, evitando l’impiego di prodotti di sintesi».


Un settore in espansione, dunque, sul quale puntare.


«È un mercato in crescita grazie alla diversa sensibilità dei consumatori e mi auguro sia la spinta per immaginare una trasformazione dell’attività agricola che si rivolge ad un mercato sensibile e attento. È una trasformazione su cui Coldiretti ha puntato molto cercando di far capire a chi acquista l’importanza della provenienza dei prodotti, garantendone la qualità anche “mettendoci la faccia”, organizzando la vendita diretta con Campagna amica. È una via d’uscita, e soprattutto di rinascita, per la nostra agricoltura».


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