Il dramma dell’esodo negli scritti di Porro
Si intitola “Via, dobbiamo partire! ”, è dedicato a tutti gli istriani, fiumani e dalmati e ai loro discendenti dispersi nel mondo ed è firmato da Alessandro Porro, il libro edito dall’associazione La Voce di Pordenone che sarà presentato domani, alle 18, nel Ridotto del Teatro Verdi, dove interverrà anche il vice direttore del Messaggero Veneto Giuseppe Ragogna.
Un volume prezioso, che testimonia ancora una volta lo sradicamento di una cultura, di una civiltà e di una lingua e che raccoglie gli scritti di Guido Porro, scomparso nel 2011, amministratore e politico apprezzato, ma soprattutto professore amato da migliaia di studenti con i quali mantenne un contatto anche dopo il pensionamento, soprattutto quando si trattava di raccontare il dramma degli esuli vissuto in prima persona.
Nato a Capodistria il 16 giugno 1932, secondo di dieci fratelli, fu costretto a lasciare la sua amatissima città nel 1953 per stabilirsi a Trieste e raggiungere poi Pordenone, che sarebbe diventata la sua città, “sostituita” nel 1973 da Roveredo in Piano, dove fu altrettanto stimato e amato.
Il libro raccoglie le note stilate dal professore per introdurre una video intervista che desiderava realizzare perché fosse utilizzata in occasione delle celebrazioni per il Giorno del Ricordo. E così, nel volume che La Voce ha voluto pubblicare, sono contenuti dialoghi, documenti, racconti (perlopiù si tratta di una selezione di quelli firmati con lo pseudonimo “Il ragazzo del sicomoro” per il periodico “Fameia capodistriana”).
Fra una pagina e l’altra si fanno notare gli acquerelli, realizzati sempre da Guido Porro, che riproducono vie, case, palazzi, monumenti e il porto di Capodistria “di quando ci vivevamo ancora noi” (fine anni ’30 e anni ’40), tipici della cultura veneziana e italiana, «con tinte calde, pastellate, fresche e popolari dentro un’architettura unica e irripetibile». E oggi, «diventati cadenti e resi urbanisticamente insignificanti perché non raccontino più al mondo la loro storia. Volutamente ingrigiti e sbiancati». La tragedia dell’esodo si arricchisce dunque di un’ulteriore testimonianza, densa di spunti di riflessione e del profondo amore per una terra, l’Istria, oggi «così sgorbiata e balcanizzata – scrive Porro nelle conclusioni – che non la riconosco più».
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