Il ’68, anno della rivoluzione: tutto accadde in una notte

Il 1968 è un anno importante per il Messaggero Veneto che il 5 maggio, nello spazio di una notte – una lunga, emozionante notte che chi c’era non dimenticherà – cambia sede e sistema di lavoro, passando da via Carducci a viale Palmanova, dal piombo all’offset (cioè il ciclo di stampa “a freddo”, con macchine elettroniche , senza linotypes, fonderia e stereotipia).
L’evento si svolge in due tempi. Il 7 aprile il presidente del Consiglio Aldo Moro inaugura il nuovo stabilimento del giornale, che nell’occasione collauda le innovazioni tecnologiche con un “numero zero” in tempo reale dedicato all’avvenimento. E sabato 4 maggio è il primo giorno in viale Palmanova (venerdì 3 avevamo lavorato per l’ultima volta in quel vecchio, caro "rudere” di via Carducci).
È un salto qualitativo notevole, ma anche un brusco cambiamento di mentalità. Via i telai di ferro, le colonnine di piombo; si impagina con tipografi-grafici in camice bianco, matita e stecca, circondati da tastieristi che sono degli impiegati (entrano anche le donne) al posto dei linotipisti accaldati e in tuta. Sono lontani i tempi in cui una legge assegnava quantitativi di latte gratuiti a chi lavorava a contatto col piombo. (Ma nella tipografia di via Carducci – raccontavano ironicamente i “vecchi” – i bidoni restavano quasi intatti: i nostri tipografi preferivano merlot e cabernet)

Lo scotto dell’esordio è minimo, qualche ora di ritardo nell’uscita del primo numero da viale Palmanova. Ma il nuovo si avverte subito: colpiscono il lettore le fotografie, che non sono più sbiadite, ma chiare, quasi luminose. Per l’installazione delle nuove macchine l’Ibm di Milano ha mandato a Udine quattro istruttori per addestrare il personale. Due (Maria Grazia Fabretto e Pietro Chiapolino) sono originari della nostra regione e il giornale lo sottolinea in un’intervista nel primo numero in offset dal titolo: “Due friulani tornano a casa con le macchine dell'avvenire”).
Ma la guida principale e più importante nel passaggio tra vecchio e nuovo fu Enzo China, terzo proto del giornale e primo dei “giovani” ( seguito ai due “mostri sacri” del giornale Iwanhoe Pregnolato ed Enrico Del Torre). A Del Torre, che andò in quiescenza nel 1961, subentrò il trentunenne Enzo China.
Tecnico preparatissimo e appassionato. Aveva cominciato a 18 anni lavorando come addetto alle linotypes, che sapeva anche riparare quando si inceppavano. Promosso proto, preparò e portò a compimento – con il nuovo direttore Vittorino Meloni e il direttore tecnico Galliano Ruggeri – quell’autentica rivoluzione che fu il passaggio dal piombo all’offset, dal fatiscente stabilimento di via Carducci al nuovo complesso progettato dall’architetto Gino Valle.
Il Messaggero Veneto deve molto a Enzo China, che un anno dopo, nel ’69 ci fu “rubato” dal Resto del Carlino, impegnato in un’analoga trasformazione (ma anche quell’esperienza non durò a lungo: China morì a Bologna poco più che cinquantenne stroncato da un male irreversibile). Era nato nel 1930 a Sacile, dove vive ancora il fratello Elvi che ha dedicato molti anni della sua vita all’insegnamento e alla politica. Enzo ha frequentato le scuole medie a Sacile e poi quelle professionali dai Salesiani a Verona.
Si è sposato nel ’56 con la sacilese Lisetta Cusin ancora vivente e ha avuto tre figlie: Sandra, Monica e Paola che sono rimaste a Bologna dopo la morte del padre. Benché fossero piccolissime, hanno ancora molti ricordi del periodo udinese, quando abitavano nella zona di via Cividale.
Sandra, in particolare - anche per l’omonimia – è rimasta in contatto con Sandra Marini, già amministratrice in via Carducci. Entrambe ricordano con emozione quando proprio Sandra China, allora undicenne, venne scelta per porgere un mazzo di fiori al Presidente Moro all’inaugurazione del nuovo stabilimento. («Spesso mi riguardo quelle foto - commenta oggi Sandra -: mio padre, Lino Zanussi, Aldo Moro e la sua guardia del corpo... Che tristezza, non è rimasto più nessuno!»)
Come proto del Messaggero a China subentrò prima il veneziano Mirco Comin, poi passato al Gazzettino, e quindi un terzetto di friulani che non molti anni fa sono andati in pensione: Umberto Venier, Umberto Valentinis e Virgilio Pregnolato, quest’ultimo, “figlio d’arte” tipografica, è scomparso nel novembre 2014 dopo aver passato il testimone alla figlia Ivana, il cui nome ricorda il nonno).
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