«I miei suoni surreali per Man Ray»

Lettera aperta del compositore pordenonese in vista del doppio concerto a villa Manin «Vicino al tuo mondo, ma senza imitarlo»

Teho Teardo, maestro delle colonne sonore, sarà a villa Manin venerdì e sabato alle 21, per un doppio concerto dedicato a Man Ray, nell’ambito della grande mostra in corso a Passariano. In attesa di esibirsi dal vivo, Teardo, che ha origini pordenonesi, ha scritto una lettera aperta al maestro della fotografia. Sua, infatti, è la colonna sonora per tre film del maestro del surrealismo che si proiettano in villa: Le retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926) e L'etoile de mer (1928).

Caro Man Ray,

mi permetto di scriverti perché quando mi hanno proposto di pensare alla musica per tre tuoi film mi sono ricordato del giorno in cui ho letto il mio primo manuale di storia dell'arte. Ero molto giovane e tu, con quel nome da personaggio mitologico, potevi immediatamente competere con la galleria di miti della musica post punk e sperimentale di quei giorni, eri un'altra regina nel mio personale empireo della trasgressione. Allora era un requisito fondamentale per attirare la mia attenzione.

Poi si cresce, tutto si trasforma sugli strati che abbiamo sedimentato nel corso degli anni.

Ho pensato non avresti affatto apprezzato una colonna sonora per i tuoi film. Temevo avresti fatto ritorno per colpirmi con quel ferro da stiro chiodato, la notte, nel sonno.

La colonna sonora non combacia con l'idea di cinema dell'Uomo Raggio e, sinceramente, nemmeno con la mia. Su questo punto siamo probabilmente in sintonia.

Quindi ho scartato da subito l'ipotesi colonna sonora perché sarebbe stato come cercare di addomesticare l'irruenza di quanto accaduto in quegli anni di esplosione furiosa dell'avanguardia fino a farne intrattenimento. E a noi non interessa l'intrattenimento.

Meglio un altro tipo di avvicinamento ai tuoi film, cercando appuntamenti di natura emotiva, fino quasi ad allinearsi con quel mondo, ma senza commentarlo, senza imitarlo, evitando di ribadire quanto già detto nella pellicola. In fondo è quanto ho perseguito in questi anni nel mio rapporto con il cinema.

Ti ho pensato quando nella camera oscura appoggiavi oggetti alla pellicola per impressionarla, così ho deciso che avrei iniziato questo progetto utilizzando principalmente gli oggetti che erano rimasti sul tavolo del mio studio dopo l'ultima sessione di registrazioni: molle, chiodi, filo di rame, spray disossidante, pezzi di metallo. Ho usato le gambe del tavolo e la mia sedia per creare le fonti ritmiche; poi il pavimento, il metallo del lucernario. In modo casuale ho registrato rumori e suoni di oggetti per giorni. Era tutto molto concreto, stridente, per certi versi addirittura caustico.

Sono partito dal suono, perché è così che la musica indaga la realtà, attraverso la capacità evocativa del suono e dell'armonia cerca la verità in ciò che siamo. La musica risponde ad una sola legge: la verità. Nel farlo necessita di paragoni, di confronti spietati tra gli accadimenti di un luogo ed un altro, di stabilire dove ci troviamo quando pensiamo alla stessa cosa; è una questione di sentimento che chiede di unire i puntini nella mappa delle nostre intenzioni. E' solo a quel punto che finalmente vedo manifestarsi qualcosa davanti a me, qualcosa che può crescere e portarmi fino alla commozione.

In tal modo, attraverso il suono, ho cercato di entrare nei tuoi film, tentando di capire quali riflessi possano agglutinarsi per dare un senso alla mia presenza di fronte a immagini che nel corso dei decenni sono diventate icone libere da qualsiasi riferimento. Un questione di unicità che si ripropone costantemente nel tuo lavoro.

Nel rivedere i film, dove l'urgenza della ricerca è sempre alla base, percepivo anche un senso di inquietudine, come se ci fosse qualcosa di incombente, non tanto nelle immagini, quanto nel mio sguardo. In effetti, dopo una decina d'anni soltanto, la seconda guerra mondiale spazzò via tutto, cancellando l'Europa che tu con i dadaisti ed i surrealisti avevi cominciato a delineare: siete stati il primo racconto dell'Europa del '900, un racconto nello stesso tempo identitario e intriso del desiderio irruente di trasformazione, racconto scritto testando i limiti dei più recenti mezzi a disposizione, come il cinema e la fotografia. Una fortissima proiezione verso il futuro. Peccato che quel futuro non sia mai arrivato: mentre riguardavo i film ho sentito una sorta di rintocco funebre in memoria di ciò che è andato definitivamente distrutto dalla guerra. Le spinte avanguardistiche che hanno reso irripetibili i primi tre decenni del secolo scorso nella definizione di un'estetica europea sono state attenuate e attutite.

C'è un'ultima cosa che ti vorrei raccontare: quando morì mia madre ebbi serie difficoltà ad ascoltare musica che avesse una pronunciata componente emotiva. In quel periodo ho ascoltato molte sciocchezze. Ho impiegato circa un anno per riuscire a immergermi nuovamente in ciò che cercavo; era tale l'entità di quel vuoto che non potevo fare altrimenti. Provo qualcosa di analogo di fronte al tuo lavoro: mi arriva spesso in forma di perdita, di mancanza, perché l'amore si misura anche nell'assenza.

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